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Frasi razziste al ristorante, Mazzolini fa guerra al blog

In Cassazione il caso di un articolo uscito prima delle elezioni 2012 su un sito. Pm e gip lo avevano archiviato: no diffamazione, ma diritto di cronaca e critica

2 minuti di lettura
(ansa)

UDINE. L’articolo parlava di «salsicce, polenta e un bel piattone di razzismo» ed era corredato dalla foto del ristorante nel quale quell’insolito “menù” era stato servito. Non un ristorante qualsiasi, bensì il locale di Tarvisio di proprietà di Stefano Mazzolini. Cioè dell’allora candidato sindaco della Lega Nord alle elezioni comunali del maggio 2012 a Tarvisio. Quanto basta per fare scoppiare un caso di cronaca giudiziaria in salsa politica.

Sentendosi direttamente accusato di razzismo, pur non essendo mai stato espressamente menzionato, Mazzolini aveva denunciato alla Procura Tommaso Botto, direttore di dovatu.it, per l’ipotesi di reato di diffamazione. Ipotesi che nè il pm, nè il gip avevano ritenuto sostenibile. E che era stata poi archiviata dal giudice, insieme all’intero procedimento, nonostante l’opposizione proposta dalla difesa della presunta parte offesa. Della vicenda, ora, si occuperà la Cassazione: ritenendo di avere comunque subìto un torto, Mazzolini ha continuato la propria battaglia legale e presentato ricorso in Cassazione.

A manifestare atteggiamenti razzisti - spiegava l’articolo - era stata la cameriera del locale. «Ha allibito tre turisti - scriveva l’autore, firmandosi con lo pseudonimo di Admin - con i suoi insulti contro gli italiani del sud. Uno sfogo dettato da qualche turba momentanea o il prodotto di una sottocultura frustrata e frustrante?». Ed ecco alcune delle frasi: «I terroni non sono come noi», «Nel bar dei terroni noi non andiamo», «Anche in Romania odiano i terroni che sono arrivati anche lì», «Hanno finito di rubare», «Noi non ci mescoliamo con loro, neanche da giovani».

Fin qui le parole. Ma a mandare su tutte le furie Mazzolini era stata la scelta di corredare l’articolo con l’immagine dello striscione esposto a mo’ di “santino” elettorale sulla facciata del ristorante: “Vota Mazzolini sindaco”. Era il 12 marzo 2012 e, di lì a meno di due mesi, si sarebbero svolte le elezioni comunali. Perso il duello elettorale con il sindaco uscente del Pdl, Renato Carlantoni, l’8 giugno Mazzolini si era quindi rivolto all’avvocato Chiara Fenzo, del foro di Venezia, e aveva avviato una nuova battaglia, questa volta legale.

Tempo tre mesi e, su richiesta del pm, il gip Paolo Alessio Vernì aveva archiviato la pratica. «Il fatto storico narrato - si legge nel decreto - aveva trovato conferma nelle testimonianze e rispettato i parametri del diritto di cronaca e critica, non essendosi utilizzate espressioni volgari o offensive». Il giudice aveva anche rilevato come «l’interesse alla conoscenza pubblica derivasse proprio dalla militanza politica del querelante, che lo rende inevitabilmente più soggetto a esposizione mediatica e valutazione dell’opinione pubblica».

Da qui, la contromossa della difesa davanti alla Suprema Corte. Nel mirino, innanzitutto, il titolo dell’articolo “Lega Nord, i terroni noi non li vogliamo!”, sufficiente «a conferire una valenza complessivamente diffamatoria all’articolo» e «a creare all’esterno l’immagine di una persona, Mazzolini, con ideologia razzista». L’avvocato Fenzo ha poi insistito sia sull’attribuzione ad altra persona delle frasi riportate, sia sull’assenza dal locale di Mazzolini. «Quand’anche fosse vero il nucleo centrale della notizia - ha argomentato il legale -, il fatto storico non è stato narrato in modo corretto ed è costruito ad arte per dipingere come razzista il candidato sindaco: un razzista titolare di un ristorante razzista, nel quale venivano propagandate idee razziste». E con tanto di «denigrazione della sua dignità e credibilità professionale». L’udienza a Roma non è stata ancora fissata.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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