Lite sulle pietre d’inciampo e il Comune rinuncia al progetto
In discussione il luogo dove collocarle, visto che le case dei deportati non esistono più. La docente Pettarin: o in quei luoghi o niente. Bocciata l’idea del monumento ai Caduti
Giulia Sacchi
Il Comune rinuncia alle pietre d’inciampo: non si è riusciti a raggiungere un’intesa sulla collocazione e, dopo un acceso dibattito, l’amministrazione Romanin ha deciso di dire no a «un’installazione imposta e non condivisa».
La discussione è avvenuta nell’incontro tra il primo cittadino, il vicesindaco Ennio Tomizza, tre congiunti dei partigiani deportati, il responsabile dell’Aned Paolo Brieda, il referente della Resistenza di Cavasso Nuovo Renzo Della Valentina e Silvia Pettarin, insegnante del liceo Leopardi-Majorana di Pordenone.
«Quest’ultima ha preso la parola asserendo di avere contatti con l’artigiano costruttore tedesco Gunter Demnig e come tale di essere preposta all’ordine delle pietre d’inciampo e garante dei luoghi in cui collocarle – ha riferito Silvano Romanin –. Ho ricordato che Cavasso Nuovo dopo il terremoto del 1976 ha subito una notevole trasformazione urbanistica poiché l’80% delle case è stato abbattuto».
Tomizza ha evidenziato che «l’ufficio comunale demografico ha effettuato una laboriosa ricerca dei congiunti degli otto partigiani deportati. Risultato: soltanto quattro congiunti sono stati identificati.
Questi ultimi hanno proposto di collocare le pietre d’inciampo alla base del monumento ai Caduti oppure sul selciato dell’entrata del municipio, poiché le ipotetiche residenze dei deportati non sono più riferibili alle abitazioni degli anni Quaranta.
Inoltre il loro “collegiale raduno” furono le carceri nazifasciste a Meduno, poiché alcuni di loro furono catturati dal nemico e altri si presentarono per consegnare le armi con la falsa promessa che sarebbero stati indirizzati al lavoro alla Todt.
Dal registro matricola delle carceri di Udine, dove molti furono trasferiti, si evince che gli stessi furono imprigionati in date diverse».
Ma il sindaco ha fatto sapere che, «nonostante queste precisazioni storiche ripetute più volte da Della Valentina, la professoressa Pettarin ha sottolineato che i luoghi preposti per collocare le pietre d’inciampo dovevano corrispondere alle residenze dei deportati.
Diversamente l’artigiano tedesco Demnig non le avrebbe prodotte, anche se fossero state pagate anticipatamente dal Comune di Cavasso Nuovo, circa 1.300 euro».
Quindi è stato ricordato il caso della città del coltello. «A Maniago, in occasione della giornata della memoria del gennaio scorso, tre pietre d’inciampo sono state collocate in piazza e non a Campagna di Maniago, dove risiedevano i deportati – ha sottolineato il sindaco –. La risposta dell’Aned è stata che nelle vicinanze c’era una sala fascista per interrogare i prigionieri, ma non in piazza.
Dopo circa due ore di dibattito infruttuoso, la riunione è terminata con un nulla di fatto: io, Tomizza e i congiunti dei deportati abbiamo convenuto di rinunciare alle pietre d’inciampo e investiremo i 1.300 euro in un’altra forma per ricordare i deportati».
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