Solfrizzi recita Molière: «Un malato immaginario sempre molto attuale»
L’attore protagonista dello spettacolo al Giovanni da Udine. «Con la pandemia anche molti di noi hanno smesso di esistere»
GIAN PAOLO POLESINI
Quanto mai contemporaneo, eppure quel testo ha trecentocinquant’anni. Eterno. Argante è un personaggio iconico della galleria storica del teatro e lo si interpreta solitamente in età avanzata. È un arrivo, una prova d’attore importante, un po’ come l’Amleto o come Eddie Carbone de “Lo sguardo dal ponte”, ecco, ma lui è più amabile e ironico.
Emilio Solfrizzi, già fan di Molière avendo rappresentato “Il borghese gentiluomo” qualche stagione addietro, riabbraccia il maestro francese che nacque quattrocento anni fa (1622) onorandolo con un “Malato immaginario” di rara interpretazione — come dire — più bellicoso del solito. L’edizione firmata da Guglielmo Ferro sarà sul palco del Giovanni da Udine da oggi, martedì 22 a giovedì 24 (le prime due sere alle 20.45, l’ultima alle 19.30). Con un antipasto gradito a Casa Teatro domani mercoledì 23 alle 17.30: il pubblico potrà incontrare la compagnia. Condurrà Elena Commessatti. Sarà presente la psicologa Giada Sinelli.
Solfrizzi, complici gli anni pandemici, la malattia è stata “celebrata” in tutte le sue molteplici forme ed ecco che una commedia antichissima diventa d’attualità.
«Ormai non ci sorprende più la lungimiranza di certi artisti dei secoli scorsi che seppero scrivere sorvolando il loro presente e pure il nostro. Il gran parlare di esperti e non durante il biennio del virus diciamo più aggressivo, ci ha costretto a vivere un guazzabuglio mediatico con la conseguente fioritura di una seconda pandemia, quella sociale.
Ed è questa, ahimè, che plasma gli Argante. Lui è un uomo che ha più paura di vivere che di morire e cade in questa contraddizione straordinaria: per preservare la vita finisce per non viverla. Anche molti di noi hanno smesso di esistere. E alla nuova alba ci siamo guardati negli occhi accorgendoci che non era più come prima. Vivere implica dei rischi, ma io voglio correrli, quei rischi».
Affrontare i classici significa rispettarli, ma anche dare loro una nuova estetica, non necessariamente modernizzarli, diciamo rivitalizzarli. Che operazione è questa, Emilio?
«Direi particolare. Spiego. Intanto è stata generata in pieno Covid 19 e non sapevamo come sarebbe finita. Il Quirino compiva 150 anni e la direzione voleva far festa con un testo immortale ed eccolo qui. Aggiungiamoci i 400 anni dalla nascita di Molière e i 100 da una dalla interpretazioni più celebri di Argante: quella di Turi Ferro. Abbiamo scelto un punto di vista senza dubbio originale, ovvero caricare di energia quel vecchio brontolone che, di solito, credendosi molto malato, non trovava la forza per combattere medici e famigliari».
Lei è ipocondriaco per caso?
«All’opposto. Sono grato al destino di non esserlo. Ho degli amici che soffrono e faticano a non inchiodarsi sui sintomi, magari immaginari, appunto. Io semmai dovessi prendere una pastiglia quotidiana avrei bisogno di qualcuno che me lo ricordasse. Se ho un dolore qualunque il mio primo pensiero è: passerà. Interpretare Argante implica una buona dose di fatalismo, nelle malattie s’intende. Un attore che mai patisse la stessa sindrome lo vivrebbe malissimo. Al contrario io ci gioco».
Come uomo di televisione, oltreché di cinema, si è accorto che la tv generalista ormai si affida al sensazionalismo per campare? E a qualche cacciata dal tempio.
«Ormai i programmi soddisfano la cosiddetta “pancia” degli spettatori e la richiesta è nettamente al ribasso. Un tempo eravamo attratti dal meglio, ora ci soddisfa il peggio. Venite a teatro, dai».
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