Nuovo clima e più costi: così la montagna ripensa il turismo dello sci
Il reportage di Maurizio Dematteis e Michele Nardelli. La presentazione alla Moderna di Udine e a Tolmezzo
Alessandra ceschia
C’è un momento preciso in cui è chiaro che qualcosa sta cambiando. Anno dopo anno, stagione dopo stagione, il modello economico legato al turismo dello sci da discesa sulle montagne ha rappresentato l’architrave dello sviluppo delle terre alte. Poi, l’emergenza sanitaria legata al Covid 19 ne ha messo in luce la debolezza e, in un’epoca in cui il cambiamento climatico ha iniziato ad accorciare le stagioni e ad aumentare i costi, interrogarsi sulle prospettive di riconversione che possono essere messe in campo, è diventato inevitabile.
Va in questo senso Inverno liquido. La crisi climatica, le tere alte e la fine della stagione dello sci di massa, edito da Derive e approdi per la collana Comunità concrete, che sarà presentato oggi in un doppio appuntamento, alle 17.30 alla Libreria Moderna di Udine, con l’introduzione di Emilio Gottardo e alle 20.30 alla biblioteca civica di Tolmezzo con l’introduzione di Mario Di Gallo e un contributo di Camilla Tuccillo della Rete “Rifai”.
Inverno liquido è nel contempo un saggio e un reportage nel quale Maurizio Dematteis e Michele Nardelli analizzano l’eredità lasciata dallo sci di massa sull’arco alpino e sulla dorsale appenninica. Nelle pagine del libro, con prefazione di Aldo Bonomi e postfazione di Vanda Bonardo, imprenditori, operatori e testimoni del mondo dello sci si raccontano, analizzano fallimenti e spiegano percorsi di riconversione. È una sorta di numero zero, opera di un collettivo di narrazione attorno ai nodi del passaggio epocale in atto.
Molto più di una fotografia della lunga coda del modello di industrializzazione turistica costruito intorno allo sci di massa nel corso della seconda metà del Novecento. Dal racconto di chi vive e lavora in montagna affiora la genesi dello sviluppo urbano-industriale del secondo dopoguerra, che ha dirottato parte dei profitti generati dall’industrializzazione sulle terre alte, indebolite da un modello agro-silvo-pastorale ormai socialmente insostenibile. Investimenti che hanno trovato nell’industria della neve un motore capace di generare ritorni economici consistenti.
L’apertura internazionale dei mercati ha determinato una prima scrematura delle tante stazioni cresciute sullo sci di massa. La diversificazione dei flussi turistici ha quindi incrinato la cultura monolitica dello sci, aprendo inedite opportunità di ripensare l’offerta a partire dall’ambiente, dalla qualità dell’accoglienza, dall’offerta di prodotti tipici e servizi alla persona. Il succedersi degli inverni sempre meno nevosi e l’affermazione del concetto di sviluppo sostenibile hanno fatto il resto.
Da qui l’appello degli autori alla mobilitazione delle energie umane nelle terre alte per creare luoghi di una nuova primavera dopo un inverno liquido
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