Paolo Rossi prova lo spettacolo in Valcellina: «Il teatro resta un luogo di relazioni sociali»
Due anteprime nell’ex centrale idroelettrica a Malnisio di Montereale. «Ci sarà come sempre molta improvvisazione»
GIAN PAOLO POLESINI
C’è Paolo Rossi in zona Friuli. D’altronde l’attore monfalconese ha messo su casa a Trieste. E non è un segreto.
«In realtà sono bigamo, spiega, faccio il pendolare con Milano, che poi mi adottò teatralmente, mentre Trieste è più vicina alle mie origini» — e saperlo nel Nord Est fa meno strano di un tempo. Una permanenza legata a questioni teatrali, ovviamente. Una residenza artistica, di questo infatti si tratta, è una specie di buen retiro dove uno spettacolo inizia o si definisce o si perfeziona prima del gran debutto.
«L’affinità con i laboratori della commedia dell’arte di Claudia Contin qui in Valcellina — racconta Rossi — mi hanno riportato a Montereale con tutto il mio gruppo per una performance in levare, già pronta, e di un’altra in divenire, che inizieremo a pensare. Già quando venni qui come testimonial captai dell’energia buona».
Giusto per informare da subito i fan di Rossi, sono previste due anteprime del nuovo spettacolo all’ex centrale idroelettrica in via Alessandro Volta 27, a Malnisio di Montereale: una sabato 28, alle 21, e la seconda domenica 29, alle 17.30. Prenotazioni: Ortoteatro, 320 0530007. L’incontro fa parte del progetto “Tra laico e profano” con la direzione artistica di Claudia Contin,
Paolo, da sempre una sua caratteristica è quella di vivere la prosa del momento. Una scaletta può subire i più improvvisi cambi di registro e di pensiero da una replica ad un’altra.
«La metamorfosi è una condizione necessaria, a volte una soltanto non è sufficiente, ne servono due o più, dipende. Ogni rappresentazione è padre e madre di quella successiva. Il luogo, poi, è fondamentale. Ricordo negli anni Novanta quando io e David Riondino scegliemmo Longiano, in Emilia Romagna. Molti altri ci seguirono, fra cui Gino Paoli, Mia Martini e Ivano Fossati».
L’insegna della scorribanda teatral/musicale è “Scorrettissimo Me”, che da sola dice tutto.
«Sempre affidarsi ai sottotitoli piuttosto che ai titoli, mi creda. La materia cambia velocemente, si diceva. Quindi il sottotitolo, appunto, è “Per un futuro immenso repertorio”. I titoli sono sempre seducenti quando si creano, poi diventano vecchi col passare delle ore. Il vantaggio è che i nostri spettacoli puoi vederli più volte, tanto non si assomigliano affatto. Spesso la scaletta che diamo ai giornali è vecchia già al momento che i giornalisti leggono la mail».
Entriamo in scena per pochi secondi, Rossi.
«Dunque, è un po’ difficile così, ma posso dire che il nostro teatro parla di ciò che succede fuori dal teatro. Vorrei che questo angolo di emozioni diventasse — dopo quello che abbiamo passato, quello che stiamo passando e quello che passeremo — un luogo di relazioni sociali. Poi c’è lo spettacolo che deve essere di massima qualità. Il teatro è un accadimento, per questo improvvisiamo. Siamo in piena riproducibilità dell’opera d’arte dal vivo e in movimento».
Una cifra stilistica a lei particolarmente cara, dai “Comedians” di Salvatores, che fecero la storia a metà degli Ottanta, a tutte le sue proposte nei decenni successivi. Ricordo in “Comedians” che il pubblico lanciava un tema e lei lo sviluppava.
«Accadeva questo, precisamente. L’improvvisazione è l’espressione massima dell’emergenza, questa è la verità. Noi non lavoriamo mai nella comodità, anche perché le idee nascono sempre dal disagio».
I due anni di sospensione come li ha vissuti?
«Direi bene, proprio per il concetto di allarme che mi è caro. Recitammo anche nelle case di ringhiera in una specie di format elisabettiano con le sedie in cortile; ci siamo tenuti in forma. Il nostro modo di esprimerci ci spinge verso spazi a volte originali e anomali. Posso dire serenamente che il teatro è una necessità, un genere di conforto per il pubblico dei teatri, ma anche degli auditorium delle università o delle cantine dei viticoltori o di un qualunque posto con un palcoscenico calpestabile».
Paolo Rossi, i settanta si avvicinano. Come vede la faccenda?
«Mi appello al quinto emendamento. L’incredibile fatto è che mi sveglio con una età, a mezzogiorno ne ho un’altra, di pomeriggio un’altra ancora e di notte preferisco non svelarlo. Se volessi, per due ore, riuscirei a essere persino una ragazzina di 15 anni».
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