Le mille Virginia in scena a Udine: «Vi racconto il mio Luna Park»
La Raffaele torna al Teatrone da venerdì a domenica con “Samusà” di Tiezzi. «Fin da piccola non ho mai pensato a una alternativa a questo mestiere»
GIAN PAOLO POLESINI
«Il Luna Park sa di zucchero filato. Sono quegli odori rassicuranti che salgono su dall’infanzia e ti fanno stare bene».
In quel mondo di attrazioni e di illusioni ci porterà per una sera Virginia Raffaele, una delle nostre showgirl più eclettiche, che ha saputo coniugare la satira più signorile con la gestualità, il canto, la danza, le trasformazioni.
Non le definirei solamente imitazioni. Chi conosce Virginia — è una che l’empatia la distribuisce a chiunque — è sicuramente informato sui primi movimenti vitali della Raffaele bimba dietro un bancone del tiro a segno.
E dopo “Performance” di qualche anno fa ha ripreso vigore per eccesso di successo il tour di “Samusà”, prendete posto. Altro giro, altra corsa, per la regia di Federico Tiezzi. La fortuna è che questo spettacolo ce l’avremo in casa, al Giovanni da Udine: venerdì 3 e sabato 4 alle 20.45 e domenica 5 alle 17.
Un Amarcord, Virginia?
«Vi racconto il mio Luna Park, che poi è una metafora della giostra della vita. C’è tutta un’umanità che mi è passata davanti, l’ho vissuta al di qua del bancone e ora la rivivo ogni sera con un pubblico magnifico che spesso vedo condividere le mie emozioni.
Dico “Tagadà” e chiunque associa il nome a un vissuto. E poi quel profumo di zucchero che è come un avvertimento: ecco, sono arrivate le giostre in città. Come l’odore delle matite appena temperate che ti riporta alle elementari. Sono le fragranze della memoria».
In scena ci saranno anche dei suoi dipinti. C’è una cosa che non sa fare?
«Ahahah, per carità. Sono disegni, nulla di che».
Quando ha capito che questo mestiere sarebbe stato il suo per sempre?
«Fin da piccola non ho mai pensato a una alternativa. Ne parlavo proprio giorni fa con la mia tribù. Mi imposi una data, questo sì: trent’anni. Semmai non fossi riuscita a salire su un palcoscenico probabilmente avrei aperto un bar in Costarica. Mi ha aiutato il pensiero continuo del “devo farcela”.
E quando esco per ultima dal teatro e passo a volte per i palchetti, proprio in quel silenzio della sala, che fino a mezz’ora prima era piena di gente, ecco in quel silenzio penso: ma quanto è bello il mio lavoro! E ogni sera cambio ufficio, pensate. Ed è uno più suggestivo dell’altro».
Il talento non si nasconde. L’avranno notato in molti, ai suoi esordi. Quindi avrà trovato porte aperte ovunque. È andata così, oppure…
«Ho faticato, mi creda. La fortuna è vincere al Totocalcio, non fare carriera nello spettacolo. Diciamo che il talento a volte incontra l’occasione e bisogna farsi trovare pronti. La mia generazione girava con i curriculum nella borsa e mangiavamo chilometri per portarli.
E l’album fotografico? Non costava poco. Coi social, adesso, si fa discesa libera. Lo dico con orgoglio: io la gavetta l’ho fatta. Ho detto anche una battuta in sostituzione, provato l’ebbrezza della stunt-woman e della controfigura. Cominciare dal basso ti arricchisce e, col tempo, diventi un formidabile “ladro” di esperienze».
Come ha vissuto e come vive con le donne che imita?
«Da un po’ non lavoro più sulle parodie, adesso mi dedico ai personaggi di fantasia. Uso comunque la tecnica dei pittori: per dipingere un ritratto intero bisogna conoscere l’anatomia umana. Io studio voce, posture, gestualità che poi diventano caratterizzanti di una figura scelta.
Non è necessario avere anche un rapporto d’amicizia. La mia è comunque satira, non un omaggio. Poi tengo sempre presente che dietro la maschera c’è una persona che merita rispetto».
Un suo faro degli inizi?
«Tanti. Gigi Proietti, su tutti, e poi Alberto Sordi, Monica Vitti, Franca Valeri, Marchesini, Lopez Solenghi. Un magnifico mosaico di modelli a me cari».
L’abbiamo appena vista con piacere al cinema a fianco di Fabio De Luigi in “Tre di troppo”, una commedia di qualità e, grazie a dio, scaccia pensieri. Una coppia voluta da Fabio?
«In realtà sì. Con De Luigi c’è un’amicizia antica, siamo come i compagni dell’ultimo banco. Da quando faccio questo lavoro c’è sempre bisogno di ridere, tanto più adesso che siamo circondati da pandemie, guerre, ansie».
Sta per cominciare il Sanremo numero 73. Eppure il festivalone ha ancora la vitalità di un trentenne. Lei che ne ha fatti cinque, sa dirmi perché non invecchia mai?
«Il nostro è un Paese che ama le tradizioni e Sanremo è un rito rassicurante».
Il suo dei cinque che ricorda con affetto?
«Il primo, forse. Quando Carlo Conti confessò che mi avrebbe voluto al suo fianco, entrai nel panico della gioia. Presi il treno a Firenze per tornare a Roma. Scesi a Napoli».
I commenti dei lettori