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l’intervista

Giole Dix porta Buzzati sul palco: «Le sue storie fanno parte di me»

L’attore sarà da martedì nei teatri del Friuli con “La corsa dietro il vento”. «Ero un dodicenne e rimasi sedotto da quei personaggi fantastici eppure reali»

GIAN PAOLO POLESINI
2 minuti di lettura

L’indefinito dilemma del tempo.

Anche per Gioele Dix il rapporto «è piuttosto complesso», ma lui lo dribbla usando, fra gli altri stratagemmi, quello di non portare mai con sè l’orologio. «Da anni giro senza, eppure so sempre l’ora, alle volte ci azzecco pure i minuti. Credo di avere un metronomo interiore. Ancora un concetto a riguardo e poi chiudo» - dice.

«Ho un certo struggimento per il tempo che passa. Mia madre era una teorica “delle cose che non tornano più”. Questa faccenda, però, rischia di rovinare pure il presente».

Non è un discorso a vanvera quello di Gioele, centra eccome con il suo recentissimo spettacolo - “La corsa dietro il vento” - molto ispirato a Dino Buzzati con drammaturgia e regia firmati dall’attore milanese.

Prima di addentrarci nell’habitat di questa prosa colta esaminiamo assieme il tour regionale che comincerà martedì, alle 20.45,al Giovanni da Udine per proseguire poi nei teatri del circuito Ert: giovedì al Modena di Palmanova, venerdì al Benois-De Cecco di Codroipo, al Lavaroni di Artegna e domenica al Candoni di Tolmezzo, mercoledì 12 aprile a San Vito al Tagliamento e giovedì 13 aprile a Pontebba.

Un amore per Buzzati che si perde nella sua gioventù, Gioele. Dico bene?

«Ero un dodicenne e rimasi sedotto da quei personaggi fantastici e nel contempo reali che lui tratteggiava così abilmente essendo comunque un giornalista del “Corriere della sera”. Riuscendo a consegnarci il suo sguardo dettagliato, misterioso e ricco di sospensioni. Ed ecco, quindi, il tempo del quale accennavamo, colmo di speranze e di espressioni feroci. Dino non è stato tecnicamente un ottimista, ma nemmeno era un pessimista: si è cibato di vita».

Da averlo amato da ragazzo a costruirci attorno un spettacolo da adulto qualcosa d’altro deve essere successo.

«La passione, solamente quella. A ciò si aggiunga la richiesta da parte della famiglia Buzzati di usare la mia voce per gli audiolibri. Un gesto che mi riempì di gioia, quando me lo chiesero. Rileggendolo, poi, mi ritrovai a gestire una certa confidenza con lo scrittore nonché a pensare, in fondo, che sarebbe stata una buona idea farlo “salire” con me sul palcoscenico, assieme alla bravissima Valentina Cardinali».

Con la complicità dei celebri “Sessanta racconti”, libro che vinse lo Strega nel 1958.

«Cuciti assieme da una formula di drammaturgia che mi corrisponde. Che poi è avvenuta una cernita dalla quale è scaturita una trama, ovvero una pallottola di carta che cade dal piano di sopra - dove abita un artista - preda dell’inquilino di sotto. Lui non la aprirà per non affrontarla. Io, invece, lo farò scoprendo le brutte copie dei racconti di Buzzati che, a volte, spiazzano proprio sul finale. Il mio gioco è quello di mettere in cortocircuito la potenza della narrativa usando la forza evocativa della prosa».

Trova una definizione per il suo teatro?

«Ricordo bene un lungo dialogo al Piccolo con Luca Ronconi, il quale mi svelò una delle sue manie: mettere in scena la letteratura che poi il teatro potesse maneggiare. Nulla mi ha vietato di interpretare in carriera, che ne so “Il malato immaginario”, certo, ma stavolta il compito è ben più intrigante: sviscerare uno dei più grandi italiani di tutti i tempi. Lui, poi, si sporcava le mani con l’inchiostro della carta da giornale. Se ci pensiamo bene la fortezza Bastiani de “Il deserto dei tartari” null’altro è che la metafora del “Corriere della sera”. Un tempo, appunto, i giornalisti sapevano le cose prima del pubblico, costretto a leggere gli eventi il giorno dopo. Adesso i giornali escono che sono già vecchi. Pensi che qualcuno, a fine rappresentazione, viene in camerino e vuole la mia firma su un libro di Dino Buzzati. Non è curioso?».

Senta, ci perdoni se tiriamo fuori in questo contesto un suo personaggio noto anni fa, ovvero l’automobilista incazzato nero. Come si comporta oggi sulle strade Gioele Dix?

«Allora si viaggiava pure meglio. Uso pochissimo la macchina in città, troppi divieti, troppe restrizioni. Da cui può serenamente dedurre che sono ancora più incazzato di una volta».

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