«La Scala divenne il teatro dei teatri, da subito un modello per tutte le altre sale»
Carlotta Sorba ne ha tracciato le vicende al Teatrone di Udine. Dal melodramma romantico a Puccini e poi all’operetta
VALERIO MARCHI
Quarto appuntamento, domenica 19 marzo, con il ciclo Lezioni di Storia “Le opere dell’uomo”, ideato dagli Editori Laterza e organizzato in collaborazione con il Teatro Nuovo Giovanni da Udine e con la media partnership del Messaggero Veneto.
La prossima lezione, “La Reggia di Versailles”, con Luigi Mascilli Migliorini, in programma domenica 2 aprile, sarà l’ultima del ciclo.
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Carlotta Sorba, professoressa ordinaria di Storia contemporanea all’Università di Padova, ha condotto una lezione esemplare e coinvolgente sulla storia del Teatro alla Scala dall’inaugurazione del 1778 sino a inizio Novecento.
La Scala, il “teatro dei teatri”, principale modello di riferimento per centinaia di teatri-monumento moltiplicatisi sulla penisola italiana nei primi decenni dell’Ottocento: un secolo in cui, battendo la concorrenza di altri grandi teatri, quello milanese diventò il “tempio” del melodramma e ospitò le consacrazioni artistiche di compositori, cantanti, scenografi.
Ma la Scala assunse nel tempo anche le caratteristiche di un luogo assieme fisico, sociale e dell’immaginazione. Ed è proprio facendo ruotare questi tre aspetti intorno al tema chiave – l’esperienza dell’opera e l’industria dell’opera – che la narrazione, arricchita da immagini, brani musicali e letture, ha aggiunto alla dimensione rigorosamente storica la capacità di smuovere emozioni.
Una prima parte ha riguardato l’inaugurazione, con la fantasmagorica opera di Salieri “L’Europa riconosciuta”. Alcune polemiche antioperistiche e alcune critiche all’edificio non frenarono la fortuna della Scala e della sala all’italiana (con platea, palchi, loggione o piccionaia…): un piccolo mondo con una sua complessa vita sociale.
C’è poi la Scala rossiniana. Con Rossini, che ebbe un successo straripante, iniziò la progressiva concentrazione di buona parte della produzione su pochi autori.
Egli arrivò per la prima volta alla Scala nel 1812: lo stesso anno in cui aprì, dirimpetto al teatro, casa Ricordi, poi protagonista dello sviluppo dell’industria operistica. Nel dinamico periodo napoleonico il teatro fu più cosmopolita e vario, e Stendhal scrisse di aver provato alla Scala «vertigini» ed «estasi».
Con la Restaurazione, gli austriaci finanziarono copiosamente gli spettacoli, ritenuti un mezzo strategico sia per distrarre e tranquillizzare la popolazione sia per sorvegliarla: per la polizia austriaca la Scala era «un vero stabilimento di polizia».
Arriviamo ai tempi dell’esplosione del melodramma romantico, con novità importanti anche per alcuni cambiamenti nella sala. La platea, trasformata e “imborghesita”, era ancora un luogo essenzialmente maschile, però meno simile ad una piazza, mentre la vita dei palchi rimase in qualche modo dominata dalle signore.
Sul palcoscenico crebbe la tendenza alla concentrazione su alcuni compositori (Bellini, Donizetti, Verdi…). L’uniformazione del gusto collettivo aumentò, mentre un nuovo regime mediatico favorì l’esplosione del fenomeno delle celebrità.
A metà del secolo l’industria culturale meglio funzionante della penisola era quella operistica, capace peraltro di diffondere una narrazione unitaria anche all’estero.
In alcuni momenti il teatro fu anche luogo di sovversione, ovviamente nelle modalità allusive e ammiccanti tipiche di una lotta politica clandestina. Poi, dopo il 1848, vennero la repressione degli anni Cinquanta e la guerra del 1859, anno in cui si verificarono scene clamorose durante la “Norma” di Bellini.
La Scala di fine Ottocento è quella di Toscanini e Puccini. Anche le signore sedevano in platea e, nel Regno d’Italia, i teatri di corte vennero attribuiti alla competenza dei municipi, in difficoltà economiche.
A Milano si costituì allora un ente autonomo che organizzava le stagioni «con elevati obiettivi artistici» e, con Toscanini direttore, iniziò un processo di elevazione culturale dell’opera allo status di arte tout court. Per il consumo più largo e popolare si affermarono l’operetta e altri linguaggi comunicativi. In mezzo a questo passaggio si colloca Puccini.
Nel 1913 aprì il Museo alla Scala: il melodramma fu a quel punto un patrimonio da preservare e venerare. Chi, a fine Settecento, vide gli “effetti speciali” in stile Kolossal Hollywoodiano di Salieri, o udì Pietro Verri dire che l’opera era un intrattenimento leggero per un popolo ozioso, di certo non poteva neppure immaginare un simile percorso.
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