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Da Cipputi alla Pimpa, il genio di Altan

In libreria e fumetteria arriva il suo nuovo libro edito da Coconino Press, Avventure metropolitane. Sabato, a Pistoia, l'inaugurazione della sua mostra

gianmaria tammaro
Aggiornato alle 3 minuti di lettura

Creato da

Le interviste, quando sono fatte bene e hanno una visione precisa, riescono a ritrarre non solo il personaggio, ma pure la persona che c’è dietro la maschera. E così, leggendo quella che Simonetta Sciandivasci ha fatto ad Altan, pubblicata prima sul Foglio e poi come postfazione di A me gli occhi (Salani Editore), si scopre un uomo spontaneo, sincero, che non si nasconde e non si trattiene, che dice quello che pensa e che lo dice a modo suo: candidamente, con parole non banali, ma chiare, toni diretti e non ostili. «Dove le piacerebbe andare ancora?», chiede Sciandivasci. «In Canada e in Australia. Tutti paesi grandi e un po’ vuoti», risponde Altan. «E poco abitati». «L’uomo non è il massimo da vedere».

Altan è uno dei grandi autori del nostro fumetto, e lo è da decenni. Perché è altro ed è sé stesso. La sua presenza è costante nelle nostre vite, anche se non ce ne rendiamo conto: basta sfogliare una copia de La Repubblica o l’ultimo numero del Venerdì; basta scrollare Twitter e ritrovarselo più volte citato e condiviso. Il suo stile è immediato, semplice, schietto. Ride di tutto e ride di noi; ci dice chi siamo senza mezzi termini: il suo non è un valzer di sofismi; è una scazzottata di verità. Va a fondo con una stoccata, e poi risale su, elegante, aggiungendo alla battuta – perché è anche di questo che parliamo: battute – un ghirigoro di cinismo e brutalità.

Non usa troppe linee, e non ne usa nemmeno troppo poche. Sa esattamente quando fermarsi (oppure, al contrario, quando andare avanti). La Pimpa, creata per la figlia; Cipputi, che ha dato voce all’Italia e agli italiani, e poi le biografie dei personaggi storici, come Colombo, le storie, le vignette e le strisce. Un turbinio di corpi tozzi, tagliati con l’accetta, perfetti. Un insieme di seni, capezzoli, sorrisi, occhi. Di frasi secche, ammalianti e totali. Di ironia e autoironia. Di intelligenza e arguzia.

Altan, nato Francesco Tullio-Altan, conosce la satira e sa che la satira, come tutte le cose più importanti, è una faccenda seria, serissima. Da trattare con le pinze e con i guanti, da usare con cautela e accortezza. Perché ha le sue regole e i suoi limiti; e farla non significa sparare nel mucchio, alla cieca. Contro tutto e tutti, indiscriminatamente. Significa aver identificato il potere, e aver deciso di trascinarlo giù, in basso, insieme a tutti gli altri (e il potere può assumere qualunque forma e qualunque condizione: non è solo la cravatta, la tonaca o il bastone del padrone; è pure chi alza la voce e pretende d’avere ragione, ed è chi, credendosi furbo, prova a fregare gi sprovveduti).

Altan è timido e di poche parole, almeno durante le interviste. Non ama autocelebrarsi, e non ama nemmeno stare sotto i riflettori. Fa parlare il suo lavoro: prego, signora vignetta, prego; è il suo turno. Dai suoi personaggi alle sue creature, dai suoi uomini alle sue donne, dai cani a pois ai nasi grossi e rossi come pomodori, dagli occhi stralunati alle bocche spalancate e fameliche, ha catturato l’essenza di quello che siamo. E di quello che, con buone probabilità, continueremo a essere. Piccoli, mediocri, infelici. Occasionalmente decisi a migliorare, e puntualmente delusi nelle nostre speranze e aspettative. Umani, troppo umani: poveri noi. Ma per fortuna simpatici.

Altan, da appassionato qual è, non ha mai trattato la politica in modo superficiale; si è immerso nelle profondità della cosa pubblica, dei palazzi del Potere, e a volte ha usato un ombrello, altre, invece, un’espressione maligna e infernale. Via la china, via la penna: un’altra anima ha preso consistenza sulla carta.

In questi giorni Coconino Press pubblica Avventure metropolitane, in cui viene fuori un altro Altan: uno, attenzione, già edito, non nascosto; ma ugualmente, e piacevolmente,

sorprendente. Altan ama immaginare e intrecciare i generi. Il surrealismo dei toni, qui, si unisce magnificamente all’assurdità e all’eccesso delle singole situazioni. Ma pure alla sostanza rognosa, scostante, della vita. E quindi, pagina dopo pagina, storia dopo storia, il racconto s’adatta, migliora, si fa più grande e poderoso. Colpisce senza pietà; mira al basso ventre del lettore, e vuole travolgerlo. Non c’è cattiveria troppo cattiva, o punzecchiatura troppo velata. Le vignette s’intrecciano alle battute, e le battute fanno il loro mestiere: catturano l’attenzione e ci giocano. Come il gatto fa con il topo.

Altan è un genio, e forse questa cosa, questo titolo, non gli piacerà. Perché suona assoluto e definitivo. Ma come i geni, anche lui sa tradurre le sue intuizioni in un linguaggio universale, alla portata di tutti; anche lui arriva per primo in mondi e terre inesplorate, e anche lui, in qualche modo, riesce sempre a trovare qualcosa da mostrare e, sì, da insegnare. Viva Altan.

Sabato 25 marzo, alle 11:30, a Palazzo de’ Rossi, Pistoia, ci sarà un incontro con Altan, Giovanni Ferrara di Coconino Press e Maicol&Mirco per l'inaugurazione della mostra Altan, Cipputi e la Pimpa.

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