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Il festival

Antonella Viola a èStoria: «Sono stata molestata, anche la scienza è sessista»

L’immunologa e divulgatrice presenta alla rassegna di Gorizia quest’anno dedicata alle “Donne” il suo ultimo libro “Il sesso è (quasi) tutto” edito da Feltrinelli

Ales Pessotto
3 minuti di lettura

Titolo accattivante, quello del suo libro: Il sesso è (quasi) tutto (Feltrinelli. Ne è autrice Antonella Viola. “Quando il sesso è (quasi) tutto” è poi l’argomento dell’incontro che oggi vedrà protagonista la popolare immunologa, docente di patologia generale all’università di Padova, scienziata e divulgatrice che le cose non le manda a dire e ama affrontare i temi più delicato che legano scienza e società. L’appuntamento è in programma per le 18, alla tenda Erodoto di piazza Battisti, a Gorizia. Si tratta di uno degli eventi più attesi della penultima giornata di èStoria che, quest’anno, ha per tema “Donne”. Con Antonella Viola dialogherà Alessio Sokol.

Perché il sesso è (quasi) tutto?

«Nell’affermarlo, non mi riferisco all’atto in sé, ma al sesso biologico, inteso come differenza tra il corpo maschile e quello femminile. Ecco, lo ritengo molto importante nel determinare la predisposizione alle malattie e nell’individuare percorsi di cura specifici. In questo senso, il tema del libro è quello della medicina di genere, che deve allora prestare attenzione al corpo femminile, a lungo poco studiato, poco considerato e, di conseguenza, curato male».

La scienza è maschilista?

«Di sicuro non è avulsa dal contesto storico, sociale, culturale. La nostra cultura e la nostra società sono state e sono ancora largamente maschiliste al pari quindi della scienza, che è stata ed è maschilista da molti punti di vista».

Quali, in particolare?

«L’oggetto di cura è sempre stato il maschio bianco. La medicina, infatti, è nata e fatta da lui e per lui. Al punto che, fino al 1993, per la Food and Drug Administration i farmaci venivano sperimentati solo sugli uomini e poi utilizzati anche per le donne, senza tener conto degli effetti collaterali nei loro confronti e dell’efficacia. Insomma, la donna è stata trascurata dalla scienza non solo come oggetto di studio, ma pure come soggetto di studio. Ancora oggi, nel nostro settore, a far sentire la voce delle donne si fa molta fatica».

Lei, nella sua carriera, ha subito discriminazioni in quanto donna?

«Senz’altro. E nel mio percorso accademico si sono più che altro concretizzate nell’esclusione da alcuni gruppi, da alcune categorie: i direttori dei dipartimenti sono prevalentemente uomini e chiaramente si autosostengono, tendendo appunto ad escluderci. La ricerca, però, è stata molto paritaria: personalmente, non mi ha fatto subire discriminazioni. Per quanto riguarda il mio terzo lavoro, quello di divulgatrice, esso è invece caratterizzato da molto sessismo».

Ha subito avances, molestie sul lavoro?

«Sì, più di una volta. E sempre da parte dei capi, di persone che avevano il potere. In fondo, il problema delle molestie sul lavoro è questo: al collega che fa lo stupido si può sempre rispondere. Tuttavia, molto spesso le molestie derivano da chi decide della tua carriera e, in questi casi, la situazione è più difficile da gestire emotivamente e strategicamente».

Lei è diventata popolare in era Covid. Quanto oggi lo dobbiamo temere? Cosa ci ha insegnato quel lungo periodo?

«Oggi il Covid non è più un’emergenza come è stato dichiarato dall’Oms. Il virus non è scomparso, occorre proseguire nel tenerlo sotto controllo perché potrebbe continuare a mutare: comunque, dal punto di vista clinico è improbabile, ma non del tutto impossibile, che diventi più aggressivo. Grazie ai vaccini, ad ogni modo, la situazione è ormai ampiamente gestibile e il Covid può venir considerato al pari di un’influenza. Di sicuro, in quel periodo avremmo dovuto imparare che c’è bisogno di un rapporto più stretto con la scienza: sì, ci siamo rivolti ad essa quando eravamo in piena pandemia, ma erano anni che la scienza ci diceva che una pandemia sarebbe arrivata. Del resto, è la stessa cosa che sta avvenendo con la climatologia».

In che senso?

«Sono decenni che i climatologi, gli scienziati che si occupano di ambiente lanciano allarmi, senza venir ascoltati. Quando però capitano tragedie come l’alluvione in Emilia-Romagna ci si accorge che hanno ragione. Ma non basta rivolgersi alla scienza quando si è ormai in piena crisi: bisognerebbe invece comprendere l’importanza di prevenire certi disastri».

Non è che oggi di sesso, e di genere, si parla troppo?

«In realtà non si parla di sesso: lo si mostra dalla mattina alla sera, non nel senso più alto del termine, ma come mercanzia. Questo è un male, perché si toglie quel valore che esso deve avere. Peraltro, oggi è acquisito il fatto che parità non significa essere uguali, mentre per tanto tempo le donne hanno combattuto per la parità dei diritti sulla base dell’uguaglianza. Per esempio, ci sono differenze che, quando si tratta di applicare una cura, hanno enorme importanza. Poi, però il tema dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale meritano un altro discorso».

Quale?

«Si parla molto di coloro che non si riconoscono nel loro genere ed è giusto così. Occorre infatti evitare quanto è accaduto un tempo con gli omosessuali, che dovevano nascondersi. Poi, comunque, la scienza ha affermato che l’omosessualità non è una patologia, mentre è un problema l’omofobia. E questo cambio di paradigma è stato fondamentale per rimettere le cose al proprio posto». —

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