Festival della Costituzione: «L’austerità non è realismo economico nasce da una visione sociale classista»
Intervista a Clara Mattei, docente di Economia a New York
Mario Brandolin
È una delle menti più brillanti in fatto di economia politica, considerata una delle più attente storiche del capitalismo, anche lei come tanti, troppi dei nostri meglio cervelli è all’estero, a New York dove insegna Economia alla New School for Social Research.
È la giovane Clara Mattei che oggi (domenica 28 maggio) alle 11 all’Auditorium alla Fratta di San Daniele parlerà di La logica dell’austerità nei paesi Ocse, nella giornata conclusiva del festival della Costituzione dedicato quest’anno alla Retribuzione e alle questioni legate al Diritto a un lavoro dignitoso come sancito dalla carta costituzionale all’articolo 36.
Che cosa intende per austerità professoressa Mattei?
«Tagli alla spesa sociale, tassazione regressiva, deflazione, privatizzazioni e deregolamentazione del mercato del lavoro, spacciati come realismo economico, ma frutto di una visione profondamente classista della società».
Quale logica la sostiene? «Una logica profondamente classista il cui ruolo è di proteggere quella che è la base di un’economia capitalistica ossia il fatto che la maggioranza debba andare a vendere la propria forza lavoro per un salario basso, in condizioni precarie. A favore di coloro, pochi, che vivono grazie a reddito da capitale, interessi e profitti».
Spesso austerità è stata collegata all’esigenza per uno Stato in buona salute del pareggio di bilancio. «Nel mio libro cerco di dimostrare quanto il pareggio di bilancio sia più che altro una retorica di superficie per cercare di convincerci che siamo tutti sulla stessa barca e ci dobbiamo impegnare tutti per salvarla. Quando in realtà quello che conta è spostare le risorse a favore dei pochi, perché se noi privatizziamo, tagliamo la spesa sociale, sanità, scuole, trasporti, derogolamentiamo il mercato del lavoro tutto ciò rende più precaria la vita delle persone comuni, costrette ad accettare condizioni di lavoro, spesso molto svantaggiose».
Però, ad esempio, se si tratta di finanziare armamenti, i soldi si trovano.
«Infatti non è il pareggio di bilancio a contare, sono ragioni politiche. Tengo a sottolineare che quando gli economisti dicono che ci sono necessità economiche, questa è una bugia: non c’è nulla che sia necessità economica».
Il capitalismo è un sistema liberale naturale?
«Il capitalismo non ha nulla di naturale, ma è il frutto di condizioni collettive e ha bisogno costantemente di essere protetto, nei suoi capisaldi, la proprietà privata, le privatizzazioni, i rapporti salariali per cui le persone non abbiano altre alternative che andare a lavorare per un basso salario. Ed è quello che fa l’austerità: impedire che si sviluppino rapporti salariali e modi di produzione tali che le persone possano pensare anche a una società più giusta. Come in questo periodo post-Covid quando in molti paesi ci sono state forti richieste di cambiamenti e alternative radicali. Da qui l’inasprirsi dell’austerità, con tagli alla spesa sociale e incremento dei tassi di interesse, come salvaguardia, ripeto, dei privilegi dei pochi a scapito di quelli della maggioranza». Che fare, allora?
«Intanto è importante non cadere nella trappola che ci fa credere che non ci siano alternative. In passato ci sono stati tentativi di evadere dal sistema capitalistico che si sono rivelati fallimentari, ma oggi dal passato si può imparare molto per puntare ad alternative originali».
Un esempio?
«Quelle con cui negli anni ’20 gli operai e i contadini cercarono di impostare una nuova democrazia economica con nuove forme di lavoro, autogestione delle fabbriche e del lavoro agricolo, organizzarsi insieme per produrre le risorse necessarie e distribuirle collettivamente secondo i bisogni. Tentativi la cui soppressione violenta diede avvio al fascismo. Che instaurò una politica di austerità proprio per bloccare questi tentativi».
Vede qualche analogia tra l’Italia di oggi e quella dei’20 dello scorso secolo?
«Purtroppo sì! L’analogia sta proprio nell’austerità, nel senso che come Mussolini non rappresentò un momento di rottura ma di continuità col sistema, riuscendo a stabilizzare il capitalismo dopo la prima guerra mondiale, anche Meloni usa lo stesso tipo di austerità, ovvero di nuovo guerra contro i poveri, negazione del reddito di cittadinanza come diritto alla sopravvivenza, niente salario minimo, taglio alla spesa sociale in perfetta continuità così come lo sono stati i governi precedenti».
Altri appuntamenti. Alle 10 Angelo Floramo in A qualsisei il so. Il cas virtuos da la Cjargne in te storie moderne e contemporanie dal Friul. Alle 12 nell’auditorium alla Fratta Giorgio Monte in Il giusto compenso. La parola alla letteratura.
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