Nel diario di De Narda la storia dei soldati prigionieri dei nazisti dopo l’8 settembre
La raccolta di pensieri e ricordi curata da Valerio e Vidon. Martedì 19 settembre la presentazione in Sala Ajace a Udine
Walter Tomada
In buona parte è una storia ancora da scrivere quella degli internati militari italiani (Imi) che dal settembre del 1943 furono fatti prigionieri dai nazisti, ex alleati con cui si rifiutavano di combattere.
Moltissime delle loro vicende sono rimaste nascoste per decenni, ma oggi - grazie alla disponibilità delle famiglie - escono dai cassetti.
È il caso del “Il piccolo Diario. Memorie di Imi (1943-1945)”, fresco di stampa per Gaspari, che ricostruisce la testimonianza in presa diretta di uno di essi, Alighieri De Narda, catapultato a vent’anni dalla sua Pozzalis (frazione di Rive d’Arcano) al servizio militare in Francia prima, e all’internamento in Germania poi.
Il volume sarà presentato martedì 19 settembre alle 17.30 in Sala Ajace a Udine in un incontro moderato dal direttore del Messaggero Veneto Paolo Mosanghini, alla presenza dei curatori Flavia Valerio e Alberto Vidon, la cui attenta opera di contestualizzazione permette oggi di rivivere direttamente dalle parole di quel “soldatìn” tutto ciò che gli accadde dall’armistizio dell’8 settembre fino alla fine della guerra: l’odissea fatta di fame, freddo, umiliazioni, ma anche la forza e la solidità d’animo con cui, senza perdere la dignità, Alighieri affrontò la sua personale Resistenza.
La sua storia è personalissima e al contempo emblematica di quella di molti altri militari. Fino al fatidico 8 settembre è rimasto a distanza dagli scontri armati: si trova a Roma e il 13 settembre, mentre tenta la via del rientro a casa, viene intercettato dai tedeschi.
Viene posto di fronte a tre alternative: combattere coi nazifascisti, lavorare per i tedeschi oppure essere imprigionato in Germania. Opta per il lavoro coatto e così diventa uno fra i 700 mila deportati militari italiani. Finisce nel distretto di Münster, in Nord Reno-Vestfalia.
La confusione, le “orribili favelle” in cui vengono urlati gli ordini sembrano i segni di un girone dantesco: ma l’inferno dura poco, e lascia spazio al “calvario”, come è chiamata la via per il campo di Wuppertal che lo accoglie successivamente.
Tra filo spinato e guardine Alighieri non sa se temere di più la durezza delle sentinelle della Wehrmacht e delle SS oppure i bombardamenti sempre più frequenti operati dagli Alleati sulla zona. Unica luce in quel buio, la possibilità di comunicare coi familiari: prima con cartoline di massimo 25 parole, poi con lettere più estese per placare nostalgia e apprensione per i parenti lontani.
Dai tedeschi i prigionieri italiani, considerati dei traditori, non ricevono che disprezzo: ma in quell’odissea della ragione ad Alighieri non resta che la cura di sé, il mantenersi più ordinato e pulito che può in attesa di ritrovare il suo posto nel mondo.
A settembre del 1944, un anno dopo la deportazione, Alighieri diventa lavoratore civile, non più prigioniero: a fine turno può uscire, andare in birreria, giocare a carte. La guerra si avvia verso la fase finale, e la Germania vivrà i mesi più duri, con gli operai vengono precettati per realizzare postazioni di difesa.
Eppure, nei primi 15 giorni di aprile del 1945 l’avanzata degli americani che «masticano sempre» (spiega De Narda alludendo alla “novità” del chewing-gum) fa crollare ogni baluardo. Il nazismo è al collasso, ma gli internati italiani non possono tornare subito a casa. Sono mesi dove dipingere, suonare la fisarmonica, scrivere poesie diventano le uniche occupazioni possibili in attesa di un rimpatrio che avverrà solo a settembre.
Erano due milioni gli italiani, prigionieri o internati in ogni angolo del globo, e non fu semplice ricondurli a casa.
La loro voce però in molti casi ha taciuto poi sulle vicende di quegli anni. Per fortuna invece Alighieri ha conservato memoria di ciò che gli accadde.
E dopo una vita a servizio della sua comunità (fu presidente della latteria turnaria e della Banda Musicale di Madrisio di Fagagna) oggi le sue parole continuano a risuonare come un monito di speranza contro gli orrori della guerra.
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