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Dalla produzione agli scarti, così il prosciutto San Daniele è green

alessandra beltrame
Aggiornato 2 minuti di lettura
(reuters)

La vaschetta del salume preaffettato ha il codice QR che ti dice dove e quando è stata prodotto il prosciutto e perfino da dove viene il maiale. Oggi se ne producono 25 milioni e i dieci laboratori di affettamento sono tutti a San Daniele del Friuli.

È il settore di maggiore crescita: «La richiesta per il prodotto preconfezionato è alta e noi ci siamo adeguati, fornendo però informazioni precise al consumatore che è sempre più consapevole e attento. Non mi pare che ci siano produzioni analoghe che offrano questo», dice il direttore del Consorzio, Mario Emilio Cichetti.

Innovativo è anche il sistema di gestione dei rifiuti, ovvero dei reflui prodotti dai prosciuttifici, che sono le salamoie e i sali usati per la stagionatura: «In ottobre – prosegue Cichetti – inizieremo i lavori di un nuovo impianto di trattamento che li trasformerà in sale per l’industria, per le concerie e come antighiaccio da spargere sulle strade, un’operazione di economia circolare molto soddisfacente. Ma già da 15 anni il Consorzio si occupa della raccolta e dello smaltimento dei reflui da ciascuno dei 31 prosciuttifici associati, nulla finisce nell’ambiente».

Così per l’energia: dal 2000 l’acquisto è gestito con un unico contratto, con evidenti vantaggi economici e un utilizzo più razionale che ha ridotto i consumi. Venendo alla preziosa coscia, il celebre prosciutto di San Daniele Dop con lo zampino, che lo distingue dagli altri (ma ha anche una precisa funzione poiché «agevola il drenaggio del salume» e mantiene «l’integrità biologica della coscia»), l’originalità sta piuttosto nella sua immutata formula di produzione.

Da tempi immemori si fa come una volta, con la sola aggiunta di sale marino e la stagionatura (minimo 13 mesi) nello speciale microclima dell’anfiteatro morenico friulano, fra l’aria fresca che scende dalle Prealpi Carniche e quella temperata e salmastra che sale dal mare Adriatico, con il fiume Tagliamento che scorre sotto e agisce da termoregolatore naturale.

Siamo in un territorio di appena 35 chilometri quadrati e ottomila abitanti, che l’anno scorso ha sfornato 2.800.000 prosciutti (di cui circa 500 mila preaffettati) per un fatturato di 330 milioni di euro.

«La nostra filosofia è perfettamente glocal – osserva Cichetti –, invece di delocalizzare, le aziende devono stabilirsi qui e solo qui per produrre con il nostro marchio». E da qui, aggiungiamo noi, conquistare il mondo.

Quanto alla vendita, infatti, il San Daniele Dop viaggia a gonfie vele, con un mercato consolidato e il 18 per cento che s’invola all’estero.

Il Consorzio di tutela è stato il primo a nascere in Italia nel 1961 nel settore salumeria (quello di Parma arriverà due anni dopo) ed è stato fondato, oltre che dai produttori, dai notabili e dai commercianti del posto, che con lungimiranza riconobbero in questa attività un’opportunità di sviluppo. Svolge anche attività di vigilanza sul mercato, con oltre 1.500 punti vendita controllati ogni anno affinché non vi siano abusi o usi illegittimi del nome e del marchio.

Della filiera fanno parte circa tremila allevamenti con 50 macelli. Solo una piccola parte è in Friuli, il resto si trova in dieci regioni di nord e centro Italia: Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia in primis. I suini sono alimentati con cereali nobili e siero di latte e allevati rispettando il benessere degli animali.

Questo dice il disciplinare adottato negli anni Novanta e il Consorzio è consapevole che da allora la sensibilità a questo riguardo è cresciuta.

«È un tema imprescindibile. Benché i soci del Consorzio siano solo i prosciuttifici e non le aziende zootecniche, siamo attenti al problema – prosegue il direttore del Consorzio –, in linea con il forte movimento di opinione e le nuove normative: la sfida dei prossimi cinque anni sarà sull’innovazione nel campo del benessere animale».

Un ultimo dato contribuisce a dare il quadro della situazione. «L’Italia alleva otto milioni e mezzo di maiali per il circuito Dop, contro i 30 della Spagna e i 25 della Germania, primi produttori europei – conclude Cichetti – . I nostri fornitori sono tanti, la produzione è frazionata e ben distribuita, gli allevamenti non raggiungono le dimensioni degli impianti intensivi esteri. Questo è di per sé una garanzia di maggiore qualità e di attenzione alla buona salute dei suini». —

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