ESATTAMENTE un anno fa il mondo pianse la scomparsa di uno dei più vecchi elefanti del continente africano, Satao, avvelenato a 45 anni dalle frecce dei bracconieri nel luogo dove era nato e cresciuto, la più grande riserva naturale del Kenya, il parco di Tsavo, nel sud-est del Paese, paradiso selvaggio grande più meno quanto il Belize, famoso per i suoi animali e la sua terra color ruggine, che contrasta con il verde acceso della vegetazione e il cielo azzurro che solo l'Africa possiede. Interessati alle enormi zanne d'avorio, i cacciatori le estraessero deturpando la testa del pachiderma, e solo grazie alla particolare forma delle orecchie i ranger furono in grado di identificare Satao. La notizia, lanciata da Tsavo Trust, organizzazione per la protezione della fauna selvatica, talmente addolorata dalla morte dell'elefante da parlarne come di un "vecchio amico", fece in pochi giorni il giro del mondo. Il fatto risvegliò le coscienze, star di Hollywood in primis (già attivatesi per raccogliere mezzo milione di sterline destinate all'installazione di videocamere e sensori nei punti caldi del parco) che lanciarono una campagna per l'approvazione di una legge che proibisse a chiunque di vendere, offrire, acquistare, importare o possedere con intento di vendita avorio o prodotti d'avorio, corna di rinoceronti o derivati.
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Dodici mesi dopo la scomparsa di Satao, oggi elefante-simbolo della lotta al commercio illegale di avorio, gli 11mila elefanti "rossi" rimasti nello Tsavo (così chiamati perché "sporchi" della terra del parco) intravedono per la prima volta, dopo anni di massacri, una speranza di sopravvivenza. Nell'ultimo anno, grazie all'impegno delle associazioni ambientaliste e dei ranger africani, nessun elefante è stato ucciso fanno sapere le autorità locali. Stando così le cose si tratterebbe di un risultato è notevole, considerando che negli ultimi tre anni sono stati ben 1500 quelli massacrati, e che negli anni 60, secondo Tsavo Trust, nel Parco vivevano bel 35mila esemplari, cifra calata vertiginosamente negli anni fino a raggiungere il suo picco più drammatico negli anni 80 quando, secondo Save the Elephants, gli elefanti rimasti erano appena 6mila.
Fra le stragi che più hanno colpito l'opinione pubblica e fatto definitivamente scattare l'allarme va annoverata sicuramente quella del 2013, quando nello Tsavo est undici elefanti, tra cui due cuccioli di appena due mesi, vennero uccisi a colpi di kalashnikov e mutilati delle zanne. A trovarli furono i ranger del Kenya Wildlife Service, che ogni giorno cercano di preservare gli animali in nome della natura e dell'ecoturismo, che rappresenta in Africa una delle poche fonti di lavoro. La tragedia fu subito definita la più crudele mattanza di pachidermi nel Paese degli ultimi decenni. "Era dal 1980 che non si registrava in una riserva protetta l'uccisione di un numero così elevato di elefanti in una sola battuta di caccia. Questo è un chiaro segnale di peggioramento", spiegò alla stampa internazionale Patrick Omondi, responsabile del Programma nazionale per la difesa degli elefanti.
Cites, l'organizzazione internazionale per la protezione delle specie in via di estinzione, ha recentemente pubblicato un rapporto che lancia un allarme inequivocabile: il più grande mammifero terrestre, a causa del bracconaggio, rischia seriamente di scomparire dal Pianeta. I dati del resto, parlano chiaro: secondo la Wildlife Conservation Society 35mila sono stati gli elefanti uccisi in Africa nel 2013, e il Kenya, che nel 2012 ne ha persi 360 e 289 nel 2011, è uno dei Paesi più colpiti. Stati come il Camerun hanno assistito a mattanze di centinaia di esemplari in un giorno solo (tristemente incisa nella memoria la strage del gennaio del 2012, a opera di un centinaio di uomini a cavallo provenienti dal Ciad che fecero irruzione nel parco nazionale di Bouba Ndjida).
Malgrado nel 1989 sia entrato in vigore il trattato internazionale che vieta il commercio dell'avorio, la guerra che si combatte per le zanne degli elefanti - dettata soprattutto dalla richiesta del mercato nero asiatico, dove il materiale viene usato nelle medicine tradizionali o per realizzare ornamenti - rappresenta un business talmente grande che i bracconieri, pur di avere l'avorio, sono disposti a rischiare in prima persone, e in centinaia negli ultimi anni hanno perso la vita negli scontri a fuoco con le guardie dei parchi.
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Dodici mesi dopo la scomparsa di Satao, oggi elefante-simbolo della lotta al commercio illegale di avorio, gli 11mila elefanti "rossi" rimasti nello Tsavo (così chiamati perché "sporchi" della terra del parco) intravedono per la prima volta, dopo anni di massacri, una speranza di sopravvivenza. Nell'ultimo anno, grazie all'impegno delle associazioni ambientaliste e dei ranger africani, nessun elefante è stato ucciso fanno sapere le autorità locali. Stando così le cose si tratterebbe di un risultato è notevole, considerando che negli ultimi tre anni sono stati ben 1500 quelli massacrati, e che negli anni 60, secondo Tsavo Trust, nel Parco vivevano bel 35mila esemplari, cifra calata vertiginosamente negli anni fino a raggiungere il suo picco più drammatico negli anni 80 quando, secondo Save the Elephants, gli elefanti rimasti erano appena 6mila.
Fra le stragi che più hanno colpito l'opinione pubblica e fatto definitivamente scattare l'allarme va annoverata sicuramente quella del 2013, quando nello Tsavo est undici elefanti, tra cui due cuccioli di appena due mesi, vennero uccisi a colpi di kalashnikov e mutilati delle zanne. A trovarli furono i ranger del Kenya Wildlife Service, che ogni giorno cercano di preservare gli animali in nome della natura e dell'ecoturismo, che rappresenta in Africa una delle poche fonti di lavoro. La tragedia fu subito definita la più crudele mattanza di pachidermi nel Paese degli ultimi decenni. "Era dal 1980 che non si registrava in una riserva protetta l'uccisione di un numero così elevato di elefanti in una sola battuta di caccia. Questo è un chiaro segnale di peggioramento", spiegò alla stampa internazionale Patrick Omondi, responsabile del Programma nazionale per la difesa degli elefanti.
Cites, l'organizzazione internazionale per la protezione delle specie in via di estinzione, ha recentemente pubblicato un rapporto che lancia un allarme inequivocabile: il più grande mammifero terrestre, a causa del bracconaggio, rischia seriamente di scomparire dal Pianeta. I dati del resto, parlano chiaro: secondo la Wildlife Conservation Society 35mila sono stati gli elefanti uccisi in Africa nel 2013, e il Kenya, che nel 2012 ne ha persi 360 e 289 nel 2011, è uno dei Paesi più colpiti. Stati come il Camerun hanno assistito a mattanze di centinaia di esemplari in un giorno solo (tristemente incisa nella memoria la strage del gennaio del 2012, a opera di un centinaio di uomini a cavallo provenienti dal Ciad che fecero irruzione nel parco nazionale di Bouba Ndjida).
Malgrado nel 1989 sia entrato in vigore il trattato internazionale che vieta il commercio dell'avorio, la guerra che si combatte per le zanne degli elefanti - dettata soprattutto dalla richiesta del mercato nero asiatico, dove il materiale viene usato nelle medicine tradizionali o per realizzare ornamenti - rappresenta un business talmente grande che i bracconieri, pur di avere l'avorio, sono disposti a rischiare in prima persone, e in centinaia negli ultimi anni hanno perso la vita negli scontri a fuoco con le guardie dei parchi.