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Difensori della Terra: gli omicidi non fermeranno la difesa dell’ambiente e dei diritti umani

Difensori della Terra: gli omicidi non fermeranno la difesa dell’ambiente e dei diritti umani
“Ti minacciano per farti tacere. Io non posso tacere. Stiamo lottando per le nostre terre, per la nostra acqua, per le nostre vite”. Le parole di Jakeline Romero, leader indigena colombiana, risuonano come un eco allarmante
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”Ti minacciano per farti tacere. Io non posso tacere. Non posso rimanere in silenzio di fronte a ciò che sta succedendo al mio popolo. Stiamo lottando per le nostre terre, per la nostra acqua, per le nostre vite«. Le parole di Jakeline Romero, leader indigena colombiana, risuonano come un eco allarmante, simile a quello di molti altri attivisti ambientali che, come lei, combattono ogni giorno per difendere le risorse naturali del territorio in cui vivono e da cui traggono sostentamento.

 

Sono voci fondamentali, spesso scomode, di persone che mettono a rischio la loro stessa vita e quella dei loro familiari: dalle minacce alle molestie, dalle sparizioni fino agli omicidi, questi sono i reati che subiscono nella quasi totale impunità da parte delle autorità locali e internazionali, che invece dovrebbero essere in prima linea nel fornire protezione e aiuto. Al contrario, sono gli stessi attivisti ad essere trattati di frequente come criminali, con lo scopo di intimidirli e intrappolarli in onerosi procedimenti giudiziari.

 

Secondo il report ”Defenders of the Earth«, pubblicato a luglio  dall´organizzazione internazionale Global Witness, nel 2016 sono stati compiuti almeno 200 omicidi in 24 paesi diversi. Almeno, perché questo è il numero degli omicidi registrati. Molti, infatti, sono i casi non denunciati o per cui sono state condotte indagini superficiali, soprattutto nelle aree rurali, e di conseguenza le cifre potrebbero essere molto più alte.

 

Gli omicidi di attivisti ambientali sono in aumento e si stanno diffondendo in numerosi paesi, non solo in quelli dell´America Latina che detengono il triste primato (60% del totale). La scia di violenza è guidata dall´intensificarsi delle lotte per le terre e le risorse naturali tra il settore pubblico-privato (governi, aziende, investitori) e le comunità locali, a cui vengono imposti progetti di sfruttamento del territorio - con un impatto ambientale negativo e che non rispettano i diritti umani - senza fornire informazioni o senza chiedere il loro consenso. Il Diritto Internazionale garantisce l´obbligo di informazione e partecipazione degli attori coinvolti, ma gli interessi in gioco sono elevati e spesso tali diritti vengono ignorati.

 

La protesta rimane quindi l´unica arma che hanno a disposizione per difendersi. Un esempio su tutti, salito agli onori delle cronache internazionali negli ultimi mesi, è stato quello della protesta di Standing Rock, in Nevada (USA), dove i popoli nativi nordamericani e gli attivisti ambientali sono impegnati nella battaglia contro l'oleodotto DAPL. Tutto ciò in nel contesto in cui non solo il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha assunto una posizione negazionista nei confronti del cambiamento climatico, ma dove sono anche state inasprite le leggi anti protesta sia a livello statale che a livello federale.

 

Tutti siamo coinvolti in questa lotta per la salvaguardia delle nostre vite e dell´ambiente, in cui protestare non significa andare contro lo sviluppo, ma contro le ingiustizie: ”Siamo difensori della vita«, dice Laura Cáceres, figlia di Berta Cáceres, assassinata nel marzo 2016 in Honduras, ”Se possono uccidere una persona conosciuta e stimata come mia madre Berta, possono uccidere chiunque«. Bisogna quindi rompere il silenzio e il muro dell´indifferenza sotto cui continuano ad essere perpetrati tali omicidi e fare in modo che le istituzioni e i governi agiscano congiuntamente agli attori non statali per rispettare i diritti umani e l´ambiente.