
I modelli climatici utilizzati finora per prevedere il destino di certe specie sono insufficienti, avvertono ricercatori dell'Università di Zurigo (UZH) in un comunicato. Le specie formano una grande rete di interdipendenze e la scomparsa di una di loro può provocare la perdita di altre per effetto domino. Gli specialisti parlano in questo caso di coestinzione.
L'équipe di Jordi Bascompte ha cercato di stimare l'ampiezza di tale effetto su piante da fiore e insetti pronubi (insetti che trasportano il polline da un fiore all'altro permettendo l'impollinazione) in sette regioni d'Europa. Ne risulta che, verosimilmente, ben più specie sono minacciate di estinzione di quanto si pensasse, secondo i lavori pubblicati sulla rivista Science Advances.
Così la probabilità che il cisto femmina (Cistus salvifolius) si estingua a causa del riscaldamento nel sud della Spagna entro il 2080 è stimata al 52%. Per la piccola xylocopa violacea (ape legnaiola) tale arbusto rappresenta una fonte importante di nutrimento, di conseguenza la sua sparizione mette a repentaglio anche l'esistenza dell'insetto. E poiché questa ape legnaiola impollina il mirto, si instaura una reazione a catena. Se si considera il mirto in sé la sua probabilità di estinzione è del 38%. Prendendo in considerazione la rete d'interdipendenza la quota sale al 62%.
Persino alcune specie, che per motivi climatici hanno una probabilità di estinzione molto bassa potrebbero trovarsi in difficoltà, ritiene Bascompte, citato nel comunicato dell'Università. Il paragone con differenti regioni europee prese in considerazione nello studio ha anche mostrato che la zona mediterranea è particolarmente minacciata dal fenomeno di coestinzione. In Grecia per esempio se si tiene conto delle interdipendenze sono da due a tre volte di più le piante che potrebbero sparire entro il 2080.
Da una parte il bacino mediterraneo è maggiormente toccato dal cambiamento climatico rispetto alle regioni più a nord, dall'altra le specie presenti nel sud hanno aree di ripartizione più piccole, indica l'UZH. Ai lavori hanno partecipato anche ricercatori spagnoli, britannici e cileni.