
Come chiariscono gli autori dello studio, pubblicato su Science Advances, lo scopo del nepetalactone probabilmente non è quello di attrarre, o stordire, i gatti, perché questi animali non giocano un ruolo di primo piano nel ciclo vitale della Nepeta cataria. La sostanza è parte di un più ampio gruppo di composti chimici chiamati iridoidi, prodotte da molte specie di laminacee come repellente per tenere alla larga gli erbivori dalle proprie foglie. Nulla di strano, insomma, se non fosse che i parenti più stretti dell’erba gatta, una sottofamiglia definita Nepetoideae, nel corso dell’evoluzione hanno tutti perso la capacità di produrre queste sostanze chimiche. Come mai dunque l’erba gatta è ancora in grado di sintetizzare il nepelactone?
È questa la domanda a cui hanno cercato di rispondere gli autori della ricerca. Per iniziare hanno sequenziato l’intero genoma dell’erba gatta, scoprendo diversi particolari interessanti. “Abbiamo identificato un gruppo di enzimi insoliti coinvolti nella produzione del nepetalactone”, spiega Benjamin Lichman, ricercatore dell’Università di York che ha partecipato allo studio. “Si tratta di enzimi che non sono presenti in alcuna altra specie imparentata con la Nepeta cataria, e che quindi devono essersi evoluti unicamente nell’erba gatta”.
Quando e come hanno fatto la loro comparsa questi enzimi? Per scoprirlo i ricercatori hanno comparato i genomi di due specie di Nepeta (il genere di cui fa parte la Nepeta cataria), entrambe in grado di produrre nepetalactone, e quello dell’isoppo officinale, un parente stretto del genere Nepeta incapace di produrre alcun tipo di iridoide. Affiancando a questa analisi una approfondita ricostruzione filogenetica dell’albero evolutivo delle nepetoideae, hanno quindi potuto ricostruire con precisione la cronologia degli eventi evolutivi che hanno portato le Nepeta a sviluppare la capacità di sintetizzare il nepetalactone. Chiarendo almeno in parte il suo mistero: nella storia evolutiva delle nepetoideae un antenato comune delle specie moderne di queste piante ha perduto la capacità di sintetizzare iridoidi, e l’erba gatta ha in seguito sviluppato nuovamente, e indipendentemente, questa caratteristica biologica.
“L’erba gatta rappresenta un modello ideale per studiare questo genere di processi evolutivi, abbastanza comuni nel regno vegetale”, conclude Sarah O'Connor, ricercatrice del Max Planck Institute for Chemical Ecology che ha coordinato lo studio. “Ora stiamo cercando di modificare le sostanze chimiche presenti nelle laminacee, un esercizio che ci aiuterà a scoprire tutti i meccanismi genetici coinvolti nella produzione del nepetalactone, e di chiarire anche le sue funzioni ecologiche”. Per accertare definitivamente a quale scopo l’erba gatta produca il nepetalactone, insomma, servirà ancora del tempo. Ma come ricordato dagli autori della ricerca, è più facile immaginare che si tratti di un repellente per insetti e altri predatori, piuttosto che un “attraente” per felini.