Gli effetti del cambiamento climatico non sono uguali in tutto il mondo
di Sandro Iannaccone
Lo conferma l’analisi delle immagini satellitari: a essere maggiormente colpiti sono i paesi in via di sviluppo
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Piove sul bagnato. Anzi, non piove. Stando ai risultati di un’analisi condotta da un gruppo di scienziati della University of Copenhagen, i cambiamenti climaticiin atto colpiscono in modo diverso zone differenti del pianeta: le conseguenze più negative le stanno pagando, e le pagheranno, le zone più povere della terra, che diventeranno sempre più aride nel corso di questo secolo. Lo studio che lo racconta è stato appena pubblicato sulla rivista Nature Sustainability.
“Osserviamo una chiara tendenza di sviluppo di nuove aree aride nelle nazioni economicamente più svantaggiate”, ha spiegato Rasmus Fensholt, del Dipartimento di Geoscienza e Gestione delle risorse naturali all’ateneo danese, uno degli autori del lavoro. “Appare evidente che in queste zone la crescita della vegetazione è diventata sempre più disaccoppiata dalle risorse idriche disponibili, e che c’è meno vegetazione rispetto alla quantità di pioggia. Nei paesi più ricchi, invece, sta avvenendo il contrario”. Al momento, oltre il 40% degli ecosistemi del pianeta è arido: in alcune di queste regioni, come le savane e i deserti, dove le scarse precipitazioni sono sempre state la norma, la vegetazione e la fauna selvatica si sono adattate a sopravvivere in mancanza di risorse idriche, ma oggi anch’esse sono in pericolo e vulnerabili ai cambiamenti climatici. Per studiare il fenomeno, i ricercatori hanno analizzato e comparato le immagini satellitari scattate al nostro pianeta a intervalli regolari di tempo, focalizzandosi in particolar modo sulla crescita (o decrescita) della vegetazione nelle aree più aride.
“I nostri risultati”, conferma Christin Abel, un altro degli autori del lavoro, “dimostrano che nelle regioni aride, in particolare quelle in Africa e in Asia, cresce sempre meno vegetazione a causa della diminuzione delle precipitazioni. Nelle aree aride di Australia e Sudamerica, invece, si osserva una maggior crescita della vegetazione”. Secondo i ricercatori, ci sono diverse spiegazioni della disuguaglianza degli impatti del cambiamento climatico sulla crescita della vegetazione nelle zone aride nei paesi più poveri. La più ovvia, spiegano, è la rapida crescita della popolazione, in particolar modo nel continente africano, in virtù della quale c’è una necessità sempre maggiore di sfruttamento del suolo a scopo agricolo e di allevamento. La terra viene così “tolta” alla vegetazione selvatica per impiantare campi agricoli e terreni di allevamento a resa molto bassa, il che, su un ecosistema già fragile, ha un impatto molto significativo. La vegetazione nelle aree aride dei paesi più ricchi, invece, sembra affrontare meglio i cambiamenti climatici; il fenomeno è probabilmente dovuto all’intensificazione e all’espansione di aziende agricole dotate di maggiori risorse economiche, che quindi possono permettersi di irrigare e fertilizzare il suolo.
Purtroppo, il fenomeno non farà che esacerbare le già grandi differenze tra paesi ricchi e paesi poveri, accentuando le crisi alimentari e le migrazioni climatiche: “Una conseguenza della diminuzione di vegetazione nelle aree più povere del mondo”, conclude Fensholt, “porterà a un aumento dei migranti climatici provenienti da diversi paesi africani. E, sfortunatamente, al momento non abbiamo nessun dato che ci possa far pensare a un’inversione di tendenza nel prossimo futuro”.