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Carta
Cinquecento fogli di troppo. Ma la Pa sta imparando a sprecare meno

Cinquecento fogli di troppo. Ma la Pa sta imparando a sprecare meno

Si fa largo la pratica anti spreco. Il 90% dei dipendenti è ormai abituato a stampare fronte-retro. Lo Spid aiuta la transizione al nuovo. Ma il 14,7% ancora stampa le mail che legge

3 minuti di lettura

Le pile di moduli dell’Anagrafe, i faldoni impolverati negli archivi dell’Urbanistica, i plichi di analisi da consegnare al medico. Cose che potrebbero rimanere nell’immaginario collettivo più che nella realtà. La pubblica amministrazione italiana, infatti, ha imboccato il percorso che la sta portando a limitare l’utilizzo della carta sia nell’attività interna sia nel rapporto con i cittadini. Un percorso lungo, ma irreversibile. Una “dematerializzazione” che, moltiplicata per gli oltre 3 milioni di dipendenti pubblici e per una miriade di servizi, può avere un impatto notevole in termini di sostenibilità.

(Infografiche animate a cura del Gedi Visual)

Meno spreco di carta. Il primo nemico da combattere è lo spreco. Secondo le rilevazioni del Forum Pa, il 90% dei dipendenti pubblici è ormai abituato a stampare fronte-retro i fogli, l’87% di solito li riutilizza, mentre più del 60% “ricicla” buste e scatole di cartone. Certo, restano margini di miglioramento: il 20,8% ammette di non distribuire mai alle riunioni documenti solo in formato elettronico, il 52,7% stampa di frequente quelli da studiare e il 14,7% non resiste alla tentazione di leggere email cartacee.

I vantaggi di un comportamento responsabile sono, innanzitutto, ambientali. Se ciascun dipendente pubblico rinunciasse a usare 500 fogli l’anno, si abbatterebbe il consumo di carta di 8.142 tonnellate. Questo significherebbe non tagliare 122 mila alberi, risparmiare oltre 3 miliardi e mezzo di litri di acqua, ridurre il consumo energetico nazionale di 62 milioni di kWh e non emettere 19.491 tonnellate di CO2. Poi, c’è il risvolto economico. Un esempio? La spesa per carta e cancelleria sostenuta dai Comuni italiani è passata da un miliardo di euro nel 2010 a 88,14 milioni nel 2018.

(Infografiche animate a cura del Gedi Visual)

L’alternativa digitale. Un’alternativa alla carta è la digitalizzazione, cioè l’erogazione delle prestazioni, la gestione e la conservazione dei documenti solo tramite supporti elettronici. Gli strumenti principali sono la posta elettronica certificata, la firma digitale, la fatturazione elettronica, l’archiviazione digitale e il cosiddetto Sistema pubblico d’identità digitale. "Oggi non dobbiamo più recarci fisicamente negli uffici pubblici e consumare carta. Con lo Spid usufruiamo di un unico mezzo d’identificazione per accedere online ai servizi dei diversi enti", dice Max Pellegrini, ad di Namirial, società che opera nell’ambito della trasformazione digitale e che nel 2019 ha gestito un miliardo di transazioni. Di questo giro d’affari, la pubblica amministrazione rappresenta circa il 10%. Ma il segmento è in crescita.

L'ambiente ringrazia. Le soluzioni di Namirial nel 2019 hanno permesso di risparmiare complessivamente: 9.085 tonnellate di materia prima (carta e alberi), 584.800 metri cubi di acqua, 7.100 tonnellate equivalenti di petrolio di energia e 22.387 tonnellate di CO2. Al capo opposto, si sono conferiti in discarica 1.143 metri cubi di rifiuti in meno. In particolare, la digitalizzazione di un ente pubblico locale preserva 375 mila tonnellate di carta per ogni milione di abitanti. Senza dimenticare, poi, i viaggi in camion e automobile che si evitano.

Sulla stessa linea si pongono i risultati raggiunti da Ett, azienda storica dello Smart Gov, che serve 300 pubbliche amministrazioni e 32 mila cittadini; le transazioni effettuate tramite i suoi prodotti si aggirano intorno ai 45 milioni l’anno e consentono a ciascun cliente di ridurre sia il consumo di carta di 540 tonnellate sia le emissioni di CO2 di 8.320 tonnellate. Un bene per la natura e per le nostre tasche. Ett, infatti, stima che la virtualizzazione abbia garantito al sistema Paese un risparmio di oltre 5 miliardi di euro.

Un cambio di mentalità. Come spiega Giovanni Verreschi, ad di Ett, la digitalizzazione spazia dalla gestione del patrimonio culturale, con musei e biblioteche sempre più “virtuali”, al mercato del lavoro, con centri per l’impiego telematizzati e lontani dal vecchio collocamento statale. "La pubblica amministrazione ha fatto progressi, più di realtà come il mondo finanziario. Ma occorre superare la logica per cui quello reso in forma digitale, e non materiale, sia un servizio minore. Al contrario, la tecnologia aumenta la qualità, sburocratizza e velocizza i processi decisionali, favorisce l’interazione e lo scambio di informazioni".

"Gli strumenti digitali – riprende Pellegrini – sono obbligatori per soggetti pubblici, ordini professionali, imprese. Ma la tendenza è quella di diffonderli tra i privati, puntando sui benefici che offrono o estendendo l’obbligo". Un po’ com’è successo per i servizi online dell’Inps, che dal 1° ottobre scorso sono accessibili solo con lo Spid. Non è un caso che, su quasi 12 milioni di identità digitali rilasciate in Italia, circa un decimo sia stato registrato tra settembre e ottobre. Entro il prossimo febbraio, del resto, la pubblica amministrazione comunicherà con i suoi utenti solo con questo sistema. "Iniziative del genere fungono da catalizzatori. Con l’imposizione si veicola la conoscenza dei mezzi digitali, perché le persone capiscono che sono facili da usare e smettono di guardarli con diffidenza". Un’accelerazione significativa all’opera di sensibilizzazione, peraltro, è stata impressa dall’emergenza Covid-19, che ha costretto a declinare ogni attività in modalità smart.


Quel che resta da fare. "Il tasso di penetrazione dei servizi digitali rimane basso – conclude Pellegrini – nel proporli alla pubblica amministrazione spesso ci scontriamo con la burocrazia. Eppure possono contribuire allo sviluppo sostenibile del Paese". Cavilli e ritardi sono ostacoli riscontrati anche da Verreschi: "Ci sono settori in cui l’informatizzazione è più lenta. Noi lavoriamo molto con i ministeri, ma alcuni sono ingessati dalle procedure e fissano tempi così lunghi per il finanziamento dei progetti che questi, talvolta, partono già obsoleti. Bisogna investire per potenziare le infrastrutture e il Recovery fund è un’occasione da sfruttare. Credo che la maggior attenzione all’ambiente spingerà la digitalizzazione". Con buona pace della carta.