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Il caso

"Liberiamoci delle mucche". Il creatore della polpetta vegetale contro gli allevamenti

"Liberiamoci delle mucche". Il creatore della polpetta vegetale contro gli allevamenti
Non solo carne, anche pesce creato in laboratorio dalle piante. Con Impossible Foods Patrick Brown, sfida costi di produzione, regole e abitudini alimentari
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LONDRA – L’obiettivo è ambizioso: eliminare l’industria della carne e del pesce entro il 2035. O meglio, sostituirle con carne e pesce artificiali, ossia coltivati, fatti crescere geneticamente in laboratorio dalle piante. La motivazione è contribuire alla lotta al cambiamento climatico e a difendere la natura, perché dagli allevamenti di massa degli animali, in particolare dai bovini, provengono una considerevole percentuale delle emissioni nocive del Pianeta. Come cambiare sistema? Con una "missione impossibile", come allude fin dal nome Impossibile Foods (Cibi impossibili), un’azienda californiana che ci sta seriamente provando.

"Liberiamoci delle mucche", dice Patrick Brown, fondatore e amministratore delegato della società, in un’intervista al Guardian. "Intendo mettere fuori servizio l’industria dell’allevamento degli animali. Non perché ce l’abbia con le persone che vi lavorano, ma perché è l’industria più distruttiva sulla faccia della Terra". Al posto degli allevamenti di bovini, ovini, suini, polli, pesci (l’acquicoltura) e di ogni altra specie animale, gli scienziati e i tecnici della sua compagnia vogliono creare sostituti basati su piante in ogni regione del mondo.

Ex-docente di biochimica alla Stanford University, Brown ha fondato Impossible Foods nel 2011. Da allora l’azienda ha attratto 1 miliardo e 300 milioni di dollari di investimenti. Il rapper Jay Z, la cantante Katy Perry e la campionessa di tennis Serena Williams sono tra i partecipanti alla più recente raccolta di fondi da 500 milioni. Il prodotto più venduto della compagnia, Impossibile Burger, è venduto (e mangiato) in migliaia di ristoranti negli Stati Uniti, a Hong Kong e a Singapore, tra cui 7 mila Burger King, oltre che in numerosi supermarket.

Come altri produttori di carne artificiale, sebbene chi la produce contesti il termine sottolineando che gli ingredienti sono naturali, Brown ha tre ostacoli da superare per realizzare il suo obiettivo di espansione su scala mondiale. Il primo sono i costi: due chilogrammi dei suoi hamburger costano circa 60 dollari, ma questa settimana è stato annunciato un taglio del 15% del prezzo e nuove tecniche, insieme a un progressivo allargamento del mercato, promettono di ridurlo ulteriormente. Il secondo ostacolo è che varie agenzie per gli standard alimentari, per esempio quella britannica, non ne hanno autorizzato il commercio richiedendo ulteriori studi sul suo processo di lavorazione. Anche un’organizzazione ambientalista come Friends of the Earth ha espresso timori che il procedimento per produrre leghemoglobina di soia, ribattezzata "sangue vegetale", non sia stato sperimentato a sufficienza. Il terzo problema è che, come riporta un sondaggio dell’anno scorso di YouGov negli Usa, due terzi degli adulti americani si identificano ancora come "mangiatori di carne", e che gli hamburger di bovino vincano su quelli artificiali nei test per il gusto migliore.

Ma come i protagonisti della rivoluzione digitale di Silicon Valley, forse non casualmente scoppiata anche quella in California, Brown non si sconforta. "Abbiamo una strategia realistica per fare andare indietro le lancette del cambiamento climatico e fermare il collasso globale della biodiversità", dice. Nella sua visione del futuro, il 45% delle terre emerse del Pianeta attualmente riservate all’allevamento degli animali verranno restituite alla Natura. La deforestazione e il sovrasfruttamento dei mari, afferma, verranno fermati e rovesciati. "La ragione di fondo del catastrofico crollo della popolazione degli animali selvatici, che oggi sono un terzo di quello che erano 50 anni fa, è l’uso degli animali da allevamento per il nostro cibo", spiega.

Le cifre sembrano dargli ragione. Uno studio del 2018 indica che i polli di allevamento sono più del 70% di tutti i volatili della terra. Più di metà dei mammiferi sono bovini e ovini d’allevamento e gli animali selvatici sono ridotti al 4% del totale. Il peggio deve ancora venire: milioni di ettari di ecosistema sono destinati a scomparire entro metà del secolo per fare posto alla crescente domanda di spazi per animali da allevamento e bioenergia. A cui si aggiunge il danno ambientale: il 10% delle emissioni totali di gas serra provengono dal bestiame, che rilascia metano attraverso i microorganismi coinvolti nel processo di digestione e protossido di azoto attraverso la decomposizione del letame. E il 74% delle emissioni nocive mondiali prodotte da animali è causato da bovini.

Il dilemma è che la crescita economica della Cina, dell’Asia in generale e di altri paesi emergenti richiede un’alimentazione più ricca, che però priva la terra delle sue risorse naturali e aumenta i danni del cambiamento climatico. La soluzione, secondo mister Brown e i suoi epigoni, è una "missione impossibile": produrre la carne e il pesce dalle piante, eliminando gli allevamenti di animali. Che lui chiama "una tecnologia preistorica per la produzione di cibo".