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Cibo sostenibile

Un'insalata ci salverà. "Se non cambiamo dieta, nessun futuro"

Un'insalata ci salverà. "Se non cambiamo dieta, nessun futuro"
Nel rapporto Chatham House, sostenuto dalle Nazioni Unite, l'importanza di ridurre agricoltura e allevamenti intensivi per ridare spazio alla natura. Meno carne e più verdure anche come ricetta contro la crisi climatica
3 minuti di lettura

Cambiare "dieta" per sopravvivere. In un Pianeta che fra meno di trent'anni sarà abitato da 10 miliardi di persone, con agricoltura e allevamenti sempre più sviluppati per sostenere la domanda di cibo a basso costo e la natura sempre più privata di spazi e risorse per mantenere la biodiversità, è necessario ripensare il nostro sistema alimentare globale. Bisogna riformarlo: cambiare i modelli, proteggere e lasciare spazio alla natura, coltivare in maniera più rispettosa e in modo tale da supportare la biodiversità, promuovendo una dieta più incentrata sui vegetali e meno sulla carne. Altrimenti rischiamo di ritrovarci travolti da una crisi climatica ancor più devastante e senza risorse necessarie per affrontarla. Ad affermare ciò è il nuovo rapporto Chatham House, sostenuto dal Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP) e da Compassion in World Farming. Il report da poco pubblicato ci racconta gli "Impatti del sistema alimentare sulla perdita di biodiversità"


L'analisi è interessante perchè sostiene in maniera chiara come l'attuale modello di sistema alimentare, fortemente basato su agricoltura su larga scala e allevamenti intensivi, sia direttamente responsabile della perdita di biodiversità a livello mondiale. Dobbiamo dunque, sostiene il report, "modificare il modo in cui produciamo il cibo", se vogliamo avere una chance di proteggere le specie del nostro Pianeta.
 

Da sola l'agricoltura rappresenta una minaccia per 24 mila delle 28 mila specie a rischio estinzione, l'86%. Il report appoggiato dall'Onu sostiene che negli ultimi decenni il nostro sistema alimentare globale è mutato seguendo la ricerca di un cibo sempre più a basso costo. Per fare questo sono aumentati gli usi di pesticidi, di fertilizzanti, il consumo di energia, suolo, acqua. Questo ha portato a un circolo vizioso dannoso difficile da interrompere: più si produce cibo a basso costo più c'è richiesta e più si consumano le risorse naturali. Cala così la biodiversità e si ha un impatto sempre maggiore in termini di crisi climatica, dato che le emissioni prodotte dall'uomo e legate ad agricoltura e produzione alimentare oggi rappresentano già il 30% di tutte quelle di origine antropica.
 

Per tentare di interrompere questo circolo vizioso e provare a fornire una opportunità al futuro nostro e della Terra, il report indica quindi tre passaggi fondamentali e urgenti. Per prima cosa bisogna concentrarsi verso diete più ricche di vegetali. Questo perché i modelli alimentari basati su agricoltura e allevamenti animali impattano in maniera pesante sulla biodiversità. A ciò va aggiunto un minor spreco alimentare e uno sforzo per  ridurre la pressione sull'ambiente, sforzo che "ci aiuterebbe anche a ridurre il rischio di pandemie" dicono gli esperti nel report.

La seconda azione necessaria richiede la protezione della natura: più aree e riserve protette, più ecosistemi ripristinati, meno presenza impattante dell'uomo. Questo significa in parole povere "evitare di convertire tutta la terra per l'agricoltura".
 
Infine, terzo passaggio chiave, è coltivare in maniera "più rispettosa della natura e che supporti la biodiversità, limitando l'uso dei fattori di produzione  e sostituendo la monocoltura con pratiche agricole di policoltura". Questo terzo passaggio è possibile solo se si adotta l'idea di una dieta differente e diffusa, che permetta una minore pressione sulla natura. Dunque è necessario un "cambiamento dietetico" contro gli impatti del cambiamento climatico favorito dalle azioni umane.

Per Susan Gardner, direttrice della Divisione Ecosistemi dell'UNEP, bisogna "riformare il modo in cui produciamo e consumiamo il cibo. E' una priorità urgente: dobbiamo cambiare i modelli alimentari globali, proteggere e mettere da parte la terra per la natura a sostegno della  biodiversità".

Da diversi anni centinaia di esperti convergono a più riprese sulla necessità di una dieta globale più a base vegetale, sana e sostenibile. Dalle verdure ai legumi, dal cibo coltivato a chilometri zero sino alla riduzione del consumo di carne. Altrimenti, come sostiene la nota scienziata Jane Goodall, tra coloro che hannp appoggiato il nuovo report Onu, continueremo a basarci su "allevamenti intensivi di miliardi di animali a livello globale che danneggiano gravemente l'ambiente, causando la perdita di biodiversità e producendo massicce emissioni di gas serra che accelerano il riscaldamento globale".

L'impatto degli allevamenti intensivi sull'ambiente. Ad oggi più dell'80% dei terreni agricoli globali viene utilizzato per allevare animali e per il foraggio che però forniscono soltanto il 18% delle calorie necessarie a sfamare l’attuale popolazione umana. E' dunque necessario invertire "la tendenza all'aumento del consumo di carne" per eliminare la pressione sulla natura.

Un cambiamento del genere, con una dieta basata più sui vegetali, potrebbe secondo il rapporto agevolare la vita di 3 miliardi di persone e al tempo stesso invertire la curva di una perdita di biodiversità che ha portato il mondo ad aver perso metà dei suoi ecosistemi naturali e numerosissime specie, mentre ad oggi il 60% di tutti i mammiferi di un certo peso è ormai rappresentato soprattutto da mucche e maiali.
 

Dalla carne ai legumi. Per fare un esempio, il passaggio dal consumo di carne di manzo al consumo di fagioli da parte della popolazione statunitense libererebbe campi equivalenti al 42% di tutti i terreni agricoli negli States, utilizzabili per altri usi, come la restaurazione degli ecosistemi o sistemi agricoli più sostenibili.

Gli autori del report chiosano ricordando che non si sta parlando di un invito alla popolazione mondiale a diventare tutti vegani, ma di un cambiamento generale, da adottare anche a livello politico, che porti alla riduzione del consumo di carne e alla valorizzazione di prodotti vegetali nel tentativo di preservare la biodiversità. Un'azione da intraprendere "subito", soprattutto in questa delicata fase post pandemia. Altrimenti, come conclude Philip Lymbery di Compassion in World Farming, "senza porre fine all'agricoltura intensiva, corriamo il rischio di non avere alcun futuro".