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Il rapporto

L'Onu: urgente tagliare emissioni di metano entro il decennio

L'Onu: urgente tagliare emissioni di metano entro il decennio
Il nuovo report dell'Unep su uno dei gas serra più pericolosi per il clima e finora tra i più sottovalutati sottolinea: "le emissioni essere ridotte fino al 45% in questa decade per evitare quasi 0,3°C di riscaldamento globale entro il 2045". Un obiettivo coerente con i target stabiliti dall'Accordo di Parigi sul clima per limitare l'aumento della temperatura globale a 1,5°C
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"Servono misure urgenti per ridurre le emissioni di metano già nel decennio 2020-2030". Non usa giri di parole l’Unep, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, nel suo recentissimo rapporto che per la prima volta, conti alla mano, prende in esame uno dei gas serra più pericolosi per il clima e finora tra i più sottovalutati. Il Global Methane Assessment appena pubblicato sottolinea infatti "che le emissioni di metano causate dagli esseri umani possono essere ridotte fino al 45% in questa decade. Tale riduzione eviterebbe quasi 0,3°C di riscaldamento globale entro il 2045, e sarebbe coerente con l'obiettivo dell'Accordo di Parigi sul clima di limitare l'aumento della temperatura globale a 1,5°C".

Ma nel rapporto ci sono numeri ancora più convincenti: "Poiché il metano è un ingrediente chiave nella formazione dell'ozono troposferico, un potente forzante climatico e un pericoloso inquinante atmosferico, una riduzione del 45% impedirebbe 260.000 morti premature, 775.000 visite ospedaliere legate all'asma, 73 miliardi di ore di manodopera persa a causa del caldo estremo e 25 milioni di tonnellate di perdite di raccolto all’anno".

Tanto da far dichiarare al Direttore esecutivo dell’Unep Inger Andersen: "Il taglio del metano è la leva più potente che abbiamo per rallentare il cambiamento climatico nei prossimi 25 anni e completa gli sforzi necessari per ridurre l'anidride carbonica. I vantaggi per la società, le economie e l'ambiente sono numerosi e superano di gran lunga i costi. Abbiamo bisogno della cooperazione internazionale per ridurre urgentemente le emissioni di metano il più possibile in questo decennio".

E in effetti l’allarme dell’Onu è solo l’ultimo, in ordine di tempo, di una serie che riguardano il gas che, secondo un vecchio slogan, avrebbe dovuto “darci una mano”. Dopo aver indicato nell’anidride carbonica la principale responsabile dell’effetto serra e del conseguente innalzamento delle temperature globali, la comunità scientifica e le istituzioni internazionali hanno messo nel mirino il metano. Che non solo ha un “potere riscaldante” quasi 30 volte quello della CO2, ma le cui emissioni hanno continuato a crescere inosservate negli ultimi anni, proprio perché nel frattempo tutto il dibattito climatico si concentrava sul biossido di carbonio.

Poi sono arrivati i primi studi sul metano emesso dai bovini, su quello disperso nell’ambiente durante le estrazioni petrolifere, quello infine perso dai gasdotti che lo portano fino ai fornelli e alle caldaie delle nostre case.

E si è cominciato a correre ai ripari: invitando a una riduzione dei consumi di carne, scoraggiando ulteriormente l’industria petrolifera, stigmatizzando l’uso del metano come combustibile “meno sporco” rispetto alle altre fonti fossili e quindi utilizzabile durante la fase di transizione verso le rinnovabili. Alcuni pionieri del Green Deal, per esempio in California, hanno vietato la costruzione di nuove abitazioni alimentate a gas: meglio fornelli a induzione.

E l’Unione europea sta ancora litigando al suo interno su come definire il metano: green (e dunque da sostenere almeno in una prima fase) o no? L’Italia, in realtà, è già orientata a usare il metano, su cui ha investito molto negli ultimi decenni con accordi internazionali e gasdotti, come il “meno peggio”, in attesa che eolico e solare riescano a soddisfare l’intero fabbisogno energetico nazionale. E non a caso il capitolo del Pnrr dedicato alla Rivoluzione verde e alla transizione ecologica che contiene questa visione è tra i più contestati dalle associazioni ambientaliste. Ora tra le voci dubbiose si alza anche quella dell’Onu.