Qualcuno salvi gli squali. Perché i grandi predatori del mare, che popolano gli oceani da oltre 400 milioni di anni, prima della comparsa dei dinosauri, non se la passano tanto bene. E se fa notizia, in questi giorni, il casuale ritrovamento di un pesce porco all'isola d'Elba, è dall'Iucn, l'International Union for Conservation of Nature, che arriva un aggiornamento significativo sullo stato di salute delle popolazioni delle circa 600 specie diffuse in tutto il mondo, e in particolare sulle 48 presenti nel Mediterraneo. Da Marsiglia, dove si è tenuto il Congresso mondiale per la conservazione della biodiversità della Iucn, arrivano conferme inquietanti e numeri che non lasciano spazio all'ottimismo: il 37% delle specie di squali, a livello globale, è a rischio di estinzione, complice l'assenza di strategie gestionali efficaci. Una percentuale che sale al 53% per il Mediterraneo. E nel 31% dei casi la causa va ricercata nella perdita o nel degrado dell'habitat, mentre il cambiamento climatico è una concausa sempre più evidente, che incide al 10%.

Ma il nemico numero uno, neanche a dirlo, è la pesca. "Si tratta della principale causa di estinzione nel 99% dei casi - spiega Marco Milazzo, professore ordinario di Ecologia Marina all'Università di Palermo - Gli squali mediterranei sono in via di estinzione perché per decenni sono stati pescati in maniera intensiva e continuano a rappresentare catture accidentali delle flotte di tutto il Mediterraneo. Oggi i Paesi dell'Africa settentrionale sbarcano circa il 70% delle catture di elasmobranchi di tutto il Mediterraneo. Sono dati sottostimati visto che l'instabilità geopolitica dell'ultimo decennio e la recente pandemia hanno portato ad una forte contrazione delle economie dei Paesi nordafricani e al collasso dell'industria turistica: ci sono chiari segnali di un incremento della pesca illegale in questi Paesi, probabilmente per effetto di una domanda crescente di carne di squalo in mercati interni e a sostegno di un'economia di sussistenza, ma anche da parte dei mercati internazionali. Tutto questo sta mettendo gli squali mediterranei in un pericolo maggiore rispetto a prima. E bisogna agire prima che sia troppo tardi".
A lanciare un appello, durante l'ultimo Ischia Global Fest, è stato anche il regista Eli Roth, autore del documentario "FIN - la Mattanza degli squalì (disponibile su Discovery plus): "Uccidiamo 100 milioni di squali l'anno, 11mila al giorno. E senza un motivo, se non il consumo e l'uso delle loro pinne, che oltretutto sono insapori. Peraltro - ha denunciato - la loro carne è avvelenata, con livelli di mercurio più alti del 32% del consentito. E attorno a questa mattanza c'è un'industria immensa, spesso illegale".
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Ma l'opinione pubblica, a quanto pare, è sempre più attenta. "Proprio così. Le coscienze stanno iniziando a cambiare, finalmente - annuisce Fabrizio Serena, Co-Regional Vice Chair Iucn Shark Specialist Group for Mediterranean e ricercatore associato del Cnr di Mazara del Vallo, tra i maggiori esperti internazionali di squali - Non possiamo non intervenire, anche perché il ridimensionamento degli squali, che dominano la catena trofica, rischia di avere ripercussioni irreversibili sui nostri ecosistemi. Con un percorso avviato alla fine degli anni '90, Iucn ha messo a punto una rete di esperti con cui valutiamo, a intervalli di quattro anni, lo stato di conservazione delle specie. E con la pesca, teniamo d'occhio l'inquinamento e i cambiamenti climatici, che incidono con un effetto indiretto sulla salute delle popolazioni, influendo sul sincronismo riproduttivo delle popolazioni". Come se perdessero la bussola, maschi e femmine - in soldoni - si incontrano in periodi non indicati per la riproduzione. "Inoltre - annota Milazzo - molte specie ittiche si spostano verso i poli per cercare ambienti termici più idonei per compiere il ciclo vitale.
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In diverse specie di pesci si è registrata anche una riduzione delle loro dimensioni e peso, proprio perché ambienti più caldi portano ad un maggiore dispendio metabolico che sottrae energia all'accrescimento corporeo degli individui. Ebbene - conclude - non si può escludere che questo stia avvenendo anche per gli squali, ma ad oggi ci sono poche informazioni e su poche specie di squali".Quanto alla pesca intensiva, "bisognerebbe puntare con forza alla sostenibilità, vietando le attività di pesca, per esempio nelle cosiddette aree di nursery, dove gli squali nascono e crescono", dice Serena.
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Qualche esempio? "L'intera area costiera del Mediterraneo si presta ad ospitare giovani squali come verdesche, squali grigi, palombi e gattopardi", aggiunge Serena. Prova a difenderli, in particolare attorno al Banco di Santa Croce, in Campania, Eleonora De Sabata, con il progetto Stellaris per MedSharks, associazione dedicata allo studio e conservazione dell'ambiente mediterraneo, e in particolar modo degli squali mediterranei. "Difendiamo gli ecosistemi e chiediamo ai pescatori, in particolare quelli ricreativi, di rilasciare velocemente gli squaletti pescati accidentalmente. Segnalando le catture: ogni avvistamento è fonte di informazione preziosa".
Di pesca degli squali si occupa, in particolare, Carlotta Mazzoldi, che insegna Biologia Marina all'università di Padova. "Le caratteristiche biologiche di squali e razze li rendono particolarmente vulnerabili al prelievo da pesca. - spiega - Accrescimenti molto lenti, raggiungimento della maturità sessuale tardivo e grandi dimensioni sin dalla nascita fanno sì che queste specie siano spesso pescate prima di cominciare a riprodursi.

Anche alcuni comportamenti, quali estese migrazioni, utilizzo di aree costiere specifiche per il parto o per l'accrescimento, occorrenza di aggregazioni nelle quali si possono trovare decine o centinaia di individui contemporaneamente, possono influire sulla loro vulnerabilità sia alla pesca che ai cambiamenti globali o, nel caso dei cambiamenti climatici, a importanti variazioni delle correnti e delle caratteristiche fisiche e, di conseguenza, biologiche dei nostri mari. Sono soprattutto le specie di maggiori dimensioni - verdesche, squali volpe, mako e martello - a subire il maggiore declino".
Cosa fare, allora? "La gestione di squali e razze non è semplice - spiega Mazzoldi - in quanto costituiscono spesso catture accidentali di attività di pesca orientata su altre specie commercialmente di maggior valore. E proprio la conoscenza delle diverse caratteristiche biologiche delle specie, dei loro comportamenti e degli habitat essenziali ci possono permettere di sviluppare strategie gestionali condivise con i pescatori". Ed è, questa, una delle sfide principali per il futuro. Oggi più che mai, infatti, invertire il trend è fondamentale.

Con il Laboratorio di Ecologia Marina e Conservazione del Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare (DiSTeM) dell'Università di Palermo Marco Milazzo ha studiato per la prima volta l'aggregazione di squalo grigio (Carcharhinus plumbeus) nell'Isola di Lampione, appartenente all'area marina protetta delle Isole Pelagie, valutando gli effetti delle attività turistiche sul comportamento di questa specie a rischio di estinzione. "L'elenco delle specie più a rischio - sottolinea - è lungo e ne include molte che sono in grande sofferenza in diverse parti del Mediterraneo soprattutto nel settore occidentale, come gli squali angelo, il pesce violino, il pesce porco, gli squali martello, lo squalo grigio, il mako dalle pinne corte e lo squalo bianco. Come spesso hanno riportato i registri delle tonnare sparse per il Mediterraneo o altri documenti, le catture di queste specie non erano poi così rare una cinquantina di anni fa. Oggi non è più così". Ed è anche per questo che bisogna intervenire. Quanto prima.