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Biodiversità

La soluzione ai danni del granchio blu nel Mediterraneo è mangiarlo

La soluzione ai danni del granchio blu nel Mediterraneo è mangiarlo
La diffusione massiva del Callinectes sapidus - che dopo l’Adriatico è sempre più comune anche nel Tirreno - ha impatti forti sugli ecosistemi e sulla pesca artigianale. Ma un modo per ridimensionarlo, dicono gli esperti, c’è. Favorirne la distribuzione sul mercato
3 minuti di lettura

Qualcuno, sulle spiagge di Ladispoli, ha sgranato gli occhi di fronte a quei voluminosi granchi blu che hanno fatto capolino l’uno dopo l’altro nelle acque di Torre Flavia. Al punto da far scattare segnalazioni preoccupate alla guardia costiera, alimentando un grido d’allarme, rilanciato dalle associazioni ambientaliste, per l’ecosistema marino della zona. Già, perché lui, il granchio blu – nella versione Callinectes sapidus, la più comune nella parte occidentale del Mediterraneo  – è di fatto una specie aliena.

Eppure - autoctono delle coste atlantiche dell’America e significativamente più grande dei suoi parenti mediterranei – non è ormai così raro osservarlo nei mari italiani. “Tutt’altro — conferma Fabio Crocetta, ricercatore della Stazione Zoologica Anton Dohrn, che porta avanti studi specifici sulla sua diffusione - avvistamenti come quelli di Ladispoli fotografano l’ormai incontrollata estensione del suo areale, che abbraccia l’intero mare Adriatico e, da qualche tempo, anche il Tirreno, dalla Sicilia alla Calabria, fino al Cilento e ai Campi Flegrei, e ora anche, in modo evidentemente significativo, al litorale laziale”.

Tutto è cominciato, per la verità, a metà del secolo scorso: nel 1947 la prima segnalazione nel mare Egeo, in Grecia; nel 1949 la prima osservazione in Italia, a Grado. Galeotte le acque di zavorra delle grandi imbarcazioni intercontinentali, a quanto pare. Mentre per il suo “cugino”, il Portunus segnis, anche lui conosciuto comunemente come granchio blu, l’ingresso nel Mediterraneo è avvenuto attraverso il canale di Suez.

Ma gli allarmi sono giustificati? “Si tratta, per quanto riguarda il Callinectes sapidus, di una specie che ha particolari affinità con gli ambienti lagunari ed in generali costieri – spiega Crocetta - e che predilige le acque caratterizzate da bassa salinità, quindi in particolare in coincidenza con foci di fiumi. Ed è una specie che si riproduce velocemente ed è molto vorace. Il suo impatto sulle specie autoctone può essere deleterio”. Come? In modo diretto, con predazione di invertebrati nativi, e in modo indiretto, con competizione nello sfruttamento delle risorse disponibili. Una competizione nella quale, ça va sans dire, il granchio blu rischia di vincere facile. “Di più. - sottolinea Crocetta – Il suo impatto è negativo anche sugli attrezzi da pesca, finendo con il rompere le reti dei pescatori, e sullo stesso pescato, nutrendosi con voracità dei pesci ammagliati”

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“Traffico marittimo, ‘climate change’ e inquinamento hanno dato man forte alla diffusione del granchio blu, che è una specie decisamente opportunista, con una capacità di nuoto elevatissima e una dieta decisamente onnivora”, conferma Filippo Piccardi, dottorando di ricerca all’università di Padova, dove si occupa proprio di specie invasive e del loro impatto sulla pesca artigianale. “Un caso emblematico – spiega - è quello della laguna di Venezia, dove le nuove condizioni ambientali - dal riscaldamento delle acque alle variazioni di salinità - hanno favorito la diffusione del granchio blu e di altre specie invasive, che hanno un impatto ambientale e, potenzialmente, un impatto economico, sul quale ci stiamo soffermando con il nostro lavoro di ricerca”.


Quanto basta, insomma, per studiare il modo più efficace per porre un freno alla proliferazione del granchio blu. Che, benché manchi un vero e proprio monitoraggio scientifico dedicato alla specie, sembra sempre più incontrollata nei mari italiani. “Il modo migliore per ridimensionare la popolazione di granchio blu? Mangiarlo”, taglia corto Crocetta. E in effetti la sua alta commestibilità (già apprezzata per esempio in Tunisia, e negli ultimi anni nel Trapanese) può suggerire strategie condivise di pesca, che aiutino a tenere a freno l’espansione della specie.

“Proprio così – annuisce Francesco Tiralongo, docente e ricercatore dell’Università di Catania - Se è vero che il granchio blu, ormai ampiamente diffuso sul territorio nazionale, può essere una minaccia per la diversità autoctona, essendo una specie aliena, dall’altro lato può rappresentare una preziosa risorsa per la pesca e la ristorazione”. Anche per questo Tiralongo ha avviato un progetto in collaborazione con l’azienda ittica e di trasformazione “Campisi” di Marzamemi, gestita da Paolo Campisi: “Stiamo favorendo il consumo e l’introduzione nella ristorazione della specie, con possibili tentativi di trasformazione del prodotto. - spiega ancora Tiralongo - In poche parole, combattiamo questa specie aliena mangiandola. Ricordo, infatti, che rappresenta una vera prelibatezza culinaria. Quindi, niente allarmismi: il granchio blu rappresenta sì una minaccia per l’ecosistema, ma non per la salute umana”.

E come “Campisi”, anche la start-up al femminile “Mariscadoras” sta puntando con forza al consumo delle carni del granchio blu con il progetto “Blueat – La Pescheria Sostenibile”, finalizzato in generale a una migliore gestione delle specie aliene in mare. “Lanciamo un appello ai pescatori italiani per spingerli a catturare il granchio blu, con sistemi di pesca compatibili con l’ambiente marino, e a venderlo ad un prezzo stabilito alla società che ne curerà la trasformazione e l’esportazione verso i mercati internazionali, dove costituisce un prodotto molto apprezzato”, spiega Carlotta Santolini, biologa marina e fra le ideatrici di un progetto avviato, nel dicembre 2021, da cinque giovani ragazze di Rimini. Così Mariscadoras ha annunciato la disponibilità ad acquistare tutta la quantità di granchio blu pescato nell’Adriatico e Ionio “a un prezzo convenzionato presso il punto di sbarco del pescatore o presso il mercato della cooperativa che raccoglie il pescato dei propri pescatori artigianali”. Un modo intelligente per arginare lo sviluppo delle specie aliene.