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L'intervista

Perché uno scienziato arriva a digiunare per la crisi climatica

Gianluca Grimalda, ricercatore all'Università di Kiel
Gianluca Grimalda, ricercatore all'Università di Kiel 
Gianluca Grimalda, ricercatore all'Università di Kiel, ha praticato tre giorni di sciopero della fame e partecipa alle azioni non violente di Scientist Rebellion. Il movimento degli attivisti in camice bianco ha abbracciato la disobbedienza civile per alzare l'attenzione sull'emergenza planetaria: "Ci stiamo organizzando per Cop27"
2 minuti di lettura

Gianluca Grimalda è uno scienziato ribelle. Laurea in economia alla Bocconi, un dottorato di ricerca all'Università di Pavia, un secondo dottorato conseguito a Southampton, in Inghilterra, ora un incarico da ricercatore in Germania presso l'Istituto per lo studio dell'economia mondiale all'Università di Kiel. Ma la brillante carriera accademica non ha impedito a Grimalda di ribellarsi contro governi e aziende che aggravano la crisi climatica invece che adoperarsi per arrestarla: è entrato a far parte di Scientist Rebellion, una costola di Extinction Rebellion, si è incollato alla vetrina di una banca, è stato denunciato penalmente per una incursione in un summit di produttori e distributori di gas naturale, la settimana scorsa ha fatto tre giorni di sciopero della fame per il clima.
 

Con lui, centinaia di altri scienziati hanno deciso di abbandonare i loro tradizionali ferri del mestiere (i dati e le pubblicazioni scientifiche) per scendere in piazza in prima persona contro il cambiamento climatico, non accontentandosi più di essere evocati da Greta e dai ragazzi dei Fridays for Future. Ad agosto un editoriale della rivista Nature Climate Change aveva avvistato il fenomeno, anzi lo aveva quasi sollecitato: "La disobbedienza civile degli scienziati può aiutare a ridurre la complessità e la confusione che circondano la crisi climatica... Quando coloro che hanno esperienza e conoscenza sono disposti a trasmettere le loro preoccupazioni in un modo più intransigente ... questo si trasforma in un atto comunicativo particolarmente efficace".
 

Dottor Grimalda perché è arrivato allo sciopero della fame per il clima?
"L'idea è nata quando ho saputo della campagna 'Non mangio carbone', con gli attivisti di Ultima Generazione che facevano lo sciopero della fame e chiedevano un incontro pubblico ai leader dei principali partiti italiani durante la campagna elettorale, per discutere della politica energetica in Italia. Ultima Generazione chiedeva di fare scioperi della fame in solidarietà. Ne abbiamo parlato all'interno del gruppo italiano di Scientist Rebellion e io ho detto: me la sento".
 

È stata la prima volta?
"Sì, per me è stata una novità. In passato avevo fatto azioni di disobbedienza civile. Lo sciopero della fame è la dimostrazione del sacrificio che sei disposto a fare, ma non violi alcuna legge".

Lei ha violato le leggi in altre occasioni? E quand'è che è giusto farlo?
"Una volta mi sono incollato alla filiale della Deutsche Bank a Monaco per protestare contro gli investimenti fossili di quell'istituto di credito. Vìolo la legge perché la mia coscienza mi dice che devo mandare un segnale forte. E come scienziato so che siamo le figure pubbliche più ascoltate dalla gente. La gente ha meno sfiducia in noi che nei politici e nei giornalisti".
 

Pensa che queste azioni siano utili alla causa climatica?
"Come dice uno degli esponenti principali di Scientist Rebellion, lo scienziato americano Peter Kalmus che lavora alla Nasa, dobbiamo ancora trovare una strategia comunicativa efficace. Io ho voluto provare lo sciopero della fame proprio perché penso che ancora brancoliamo nel buio: non sappiamo come vengono recepiti dalla stampa e dall'opinione pubblica i messaggi che lanciamo".
 

Ha funzionato meglio il digiuno o incollarsi a una banca?
"Ho avuto l'impressione che lo sciopero della fame abbia attirato molta più attenzione da parte dei miei colleghi moderati. Quando facciamo cose più dirompenti notiamo invece che il supporto arriva soprattutto dagli attivisti e molto meno dagli altri scienziati".
 

Sta crescendo il fronte degli scienziati disposti ad azioni di disobbedienza civile?
"Sì, ma molto lentamente. Scientist Rebellion conta centinaia di attivisti in tutto il mondo e in Italia siamo una decina".

Chi sono i più attivi?
"Certamente i colleghi tedeschi"


Avete azioni in programma?
"Qui in Germania a ottobre ci riuniremo per bloccare il traffico e occupare edifici pubblici in alcune zone del Paese".
 

Pensa che i blocchi stradali siano uno strumento efficace? Non rischiano di attirarvi le antipatie delle persone normali?
"Li trovo controproducenti e infatti non vi ho mai preso parte. Anche se molti colleghi sostengono che è l'unico modo per finire sui giornali e farsi sentire. Preferisco un altro tipo di azioni...".
 

Per esempio?
"Ne stiamo preparando alcune clamorose in vista di Cop27, sia a Sharm el-Sheikh che in altri Paesi. Ma non posso dire di più...".

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