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La ricerca

Un dispositivo "portatile" per estrarre i metalli rari dai rifiuti elettronici

Il professor Edward Sabolsky della West Virginia University (Credits: WVU Photo/Brian Persinger)
Il professor Edward Sabolsky della West Virginia University (Credits: WVU Photo/Brian Persinger) 
La ricerca, che ora il Pentagono considera strategico, è della West Virginia University: un ‘forno’ di piccole dimensioni da poter usare come servizio itinerante anche per recuperare i preziosi materiali anche dalla spazzatura spaziale
2 minuti di lettura

Dal forno del professor Terence Musho, all'Università della West Virginia, non esce pane o pasticcini, ma metalli rari e preziosi, alcuni più dell'oro, estratti dai rottami della tecnologia odierna, finiti qui, invece che in discarica. All'interno di una pila di mattoncini di ceramica, crea le condizioni per recuperare palladio, indio, tantalio, e altri minerali indispensabili per l'elettronica e i semiconduttori, per la cui estrazione gli Stati Uniti, come gran parte del mondo, dipendono dai Paesi orientali. Tra cui la Cina. È per questo che il Dipartimento della difesa americano ha deciso di finanziare lo sviluppo del suo progetto con 250 mila dollari attraverso Defense advanced research projects agency (Darpa).

È evidente che al Dod considerano strategica la capacità di poter recuperare minerali rari da lavatrici, televisori, lampadine al led, computer, cellulari e smartphone, diventati rifiuto, i Raee (Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche). Anche se è una pratica che si svolge da tempo, è ancora poco diffusa, con dispendio di energie, e alti costi ambientali. Ottenere di nuovo le piccole quantità di minerali da ogni dispositivo si usano processi come l'idrometallurgia, che utilizza la lisciviazione per separare le componenti dalle plastiche ma che generano grandi quantità di acque reflue spesso inquinanti. O la pirometallurgia, fusione in forni o in bagni, ancora più impattante per l'ambiente. Una alternativa, più green ma più lenta e meno efficiente, è quella della bioidrometallurgia. Servono dunque speciali impianti. La soluzione studiata da Musho, professore di Ingegneria meccanica e aerospaziale, ed Edward Sabolsky potrebbe risolvere questi problemi, compreso quello della "portabilità".

La capsula studiata dai due ricercatori è infatti piccola, modulare (quindi può essere prodotto un impianto più grande partendo dai singole 'celle') e trasportabile. Musho immagina uno di questi macchinari come servizio itinerante, per portare il riciclo di metalli in luoghi dove non esistono impianti a questo scopo, con le navi della Marina militare statunitense o addirittura dove ci sono tonnellate e tonnellate di rottami elettronici che attendono di essere smaltiti: lo spazio. "I detriti spaziali sono un problema che sta ricevendo sempre più attenzione - dice lo scienziato della West Virginia University - così un'idea nel futuro potrebbe essere quella di usarlo nello spazio. Potremmo raccogliere satelliti (ormai diventati) spazzatura, riciclarli e inviare i materiali di nuovo sulla Terra".

E ancora, portando una tecnologia di sviluppo militare per scopi civili, per dotare ogni quartiere o i piccoli centri, ognuno di un proprio impianto di riciclo di rifiuti elettronici. "Le comunità potrebbero riciclare i propri rifiuti e rivendere i materiali ai costruttori", abbassando così, forse, anche i prezzi di mercato.

Secondo un rapporto dell'Unitar (L'Istituto delle Nazioni Unite per la formazione e la ricerca) che riporta dati del 2019, appena il 17 per cento delle 53 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici mondiali è riciclato correttamente. In fondo alla classifica ci sono i Paesi africani (0,9%) e quelli dell'Oceania (8,8%). Quelli asiatici si fermano all'11 per cento, il continente americano appena al 9,4. L'Europa è la più virtuosa, con il 42.5%. Gli Stati Uniti producono ogni anno oltre 6.000 tonnellate di e-waste con un tasso di riciclo del 15 per cento, la Cina supera le 10 mila tonnellate con un tasso di riciclo (assieme a Giappone e Korea del Sud) attorno al 20 per cento.

 

Lo stesso rapporto evidenzia come il tasso di riciclo sia cresciuto nel corso degli ultimi cinque anni, ma non tiene il passo dell'aumento della produzione di rifiuti che è cinque volte tanto (0,4 milioni di tonnellate riciclate in più ogni anno a fronte di una crescita dello scarto di 2 tonnellate all'anno). Avere a disposizione camere di riciclo "portatili" favorirebbe quindi l'economia circolare innanzi tutto nei Paesi sviluppati, la cui maggior parte dei dispositivi non più utilizzati finisce o in discarica oppure viene spedita nei Paesi in via di sviluppo dove vengono ricondizionati e rivenduti. Dei quali poi però si perdono le tracce, dato il bassissimo tasso di riciclo dei componenti. Addirittura (specifica di nuovo il dossier) l'assenza di un settore che si occupi di gestire in maniera controllata questi rifiuti fa sì che vengano gestiti da un "settore informale", con rischi ancora maggiori per la salute.