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L'intervista

La sfida delle due scienziate a capo della Società italiana che studia il clima

La sfida delle due scienziate a capo della Società italiana che studia il clima
Maria Cristina Facchini, dirigente del CNR-ISAC alla guida della Società italiana per le scienze del clima: "Porto nel mio incarico la capacità di affrontare i problemi da più punti di vista e di lavorare sulle relazioni"
4 minuti di lettura

Due donne saranno al vertice della Società italiana per le scienze del clima nei prossimi quattro anni: dal primo gennaio 2023 Maria Cristina Facchini, 62 anni, direttrice dell'Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (CNR-ISAC) diventerà presidente al posto di Riccardo Valentini, che termina il mandato, e Paola Mercogliano, responsabile della Divisione REMHI della Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, sarà presidente eletta. La Sisc prevede che il presidente eletto affianchi per due anni il presidente, mentre quello uscente (in questo caso Valentini) resti nel consiglio direttivo per due anni: "Di fatto ci sono tre presidenti che lavorano insieme - osserva la neo presidente Facchini - questo sistema assicura continuità a aiuta ad affrontare le criticità". E in piena crisi climatica il ruolo della Sisc, nata nel 2013 con l'obiettivo di contribuire al progresso scientifico e all'innovazione delle scienze climatiche in Italia, è indispensabile.
 

Presidente Facchini, sente il peso dell'incarico?
"Proprio perché da due anni sono presidente eletta non vengo catapultata in una realtà che non conosco e non sono intimorita. Non voglio sembrare fredda, ma quando sono stata nominata sono stata soltanto contenta, perché mi sono resa conto che era il momento giusto. Porto nel mio incarico non soltanto le mie competenze, ma anche la conoscenza profonda dei miei colleghi. Non sono la prima donna, perché nel biennio 2015-2016 c'è stata Donatella Spano, ma è significativo che adesso saremo in due ai vertici, Paola Mercogliano e io".
 

Ci parli delle sue competenze.
"Originariamente sono una chimica, ma quasi non me ne ricordo più, poiché sono approdata agli studi climatici già nel 1987. Di clima si parlava soltanto in ambito accademico e io studiavo gli aerosol e le nubi: ero un animale strano, una categoria sconosciuta. Mi ero ritrovata a scegliere fortunosamente questo nuovo argomento studiando l'acidificazione delle precipitazioni come causa del deterioramento delle foreste in Germania. In breve, questi studi si sono rivelati fondamentali per il clima. Sono fiera delle mie competenze da chimica, che non erano usuali nella comunità climatica italiana, mentre a livello internazionale c'era già più interdisciplinarità. Quando, nel 1987, sono arrivata all'Istituto di Fisica dell'Atmosfera del Cnr ero l'unico chimico, il posto di ruolo l'ho ottenuto nel 1992, ma mi sono integrata benissimo da subito. Sono fiera dei miei risultati: sono stata una dei primi lead author di uno dei capitoli del Quinto Assessment Report dell’Intergovernmental Panel for Climate Change, e ho fatto la mia fortuna scientifica con due lavori nel campo delle particelle atmosferiche, che a distanza di pochi anni si sono rivelati fondamentali nell'ambito delle scienze del clima. Una delle grandi soddisfazioni è stata l'onorificenza del Presidente della Repubblica, che mi ha nominata commendatore per meriti scientifici. E certo, diventare direttrice al CNR-ISAC, l'istituto dove ho cominciato con una borsa di studio, è stato un bel traguardo".
 

Ha dovuto fare rinunce nella vita privata per arrivare al vertice nel suo campo?
"No, ma la mia determinazione ha avuto in mio marito, ora uno scienziato in pensione, un ottimo alleato. Mi ha sempre spinto a non rinunciare a impegni internazionali e incarichi anche quando nostra figlia era piccola, mi ha sempre detto 'è il tuo momento, non devi metterti sensi di colpa'. E mia figlia, che oggi è felicemente affermata nel campo dei beni culturali, oggi mi conferma che non ricorda di aver sofferto per le mie assenze, anzi, mi ha detto che ricorda soltanto di essersi divertita molto quando, tutte le volte che potevo, la portavo con me".
 

Cosa porterà nel suo incarico di presidente dal punto di vista personale?
"Due punti di vista molto femminili: l'interdisciplinarietà e la capacità di proiettarsi all'esterno. Ritengo che a noi donne venga particolarmente bene non focalizzarsi soltanto su un aspetto dei problemi e affrontarli da più punti di vista e promuovere un dialogo ampio. Le relazioni con altre associazioni, l'impegno per spiegare ai decisori pubblici e ai cittadini l'emergenza climatica sono fondamentali in questo momento".

 

A proposito di interdisciplinarità, molti studi sottolineano che la comprensione dell'emergenza climatica non può prescindere da analisi sociali ed economiche.
"Per la Società che presiedo è un approccio imprescindibile per dare contributi essenziali alla valutazione del rischio. La storia stessa della ricerca sull'effetto serra si basa sull'integrazione di più materie e negli ultimi anni abbiamo compreso sempre meglio che ci sono trasformazioni rapide e visibili, collegate all'emergenza climatica, che riguardano ogni aspetto della nostra vita".
 

Ha accennato alla divulgazione. Gli scienziati si sentono inascoltati. Ritiene che debba cambiare il modo in cui comunicate le vostre ricerche?
"È già cambiato. Faccio un esempio: quando ho partecipato al quinto rapporto dell'Ipcc, l'attenzione a come si sarebbero divulgati quei risultati è stata minore. Si discusse a lungo se esplicitare che su alcuni dati c'erano dei margini di incertezza, che dal punto di vista scientifico non significa che un certo fenomeno non si verificherà, ma che potrebbe accadere con alcune variazioni rispetto alla previsione. Bene, quell'incertezza si rivela un alibi potente per i politici, che la traducono in "posso non agire". Ora si è capito che se si vuole incidere sulle politiche bisogna saper divulgare, gli scienziati sono più aperti e interessati alla comunicazione".
 

Le capita nel suo ruolo istituzionale di sentirsi inascoltata?
"Non a livello personale, ma come parte della comunità scientifica: è quasi insultante il modo in cui siamo ignorati. Lo si è visto chiaramente di fronte all'emergenza energetica, la direzione presa per sopperire al taglio di forniture del metano è stata di approvvigionarsi dello stesso combustibile fossile altrove, invece di potenziare gli investimenti sulle rinnovabili. In pratica, si rimpiazza il vecchio con il vecchio, in nome dell'emergenza, quando si avrebbe invece un'ottima occasione per invertire la rotta".

Quali saranno le sue prime iniziative come presidente?
"Ci sono da organizzare le conferenze del 2023 e 2024 e vorrei si coprissero molti ambiti interdisciplinari, coinvolgendo altre società scientifiche, anche per evitare la moltiplicazione di conferenze ristrette. Un altro punto che ritengo fondamentale è un maggiore sforzo di penetrazione a livello regionale, per coinvolgere di più i decisori e la cittadinanza. Il nostro Paese, centrale nel Mediterraneo che è un hot spot per il cambiamento climatico, ha un ruolo fondamentale nelle strategie di adattamento e mitigazione".
 

Chi si occupa di scienze del clima è percepito spesso come una cassandra, un dispensatore di pessimismo. Lei è ottimista?
"Di carattere moltissimo, però quando si tratta dei miei studi la preoccupazione è tanta. Ormai i rapporti scientifici a riguardo non sono più confutabili, per raggiungere gli obiettivi di contenimento del riscaldamento globale i margini sono minimi. Bisognerebbe fare un salto e riformare in maniere globale l'economia. Un'impresa titanica, ma di certo non mi tiro indietro a livello personale, né istituzionale, per fare la mia parte".