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L'intervista

"La neve ha un valore immenso, non pensiamo soltanto allo sci"

"La neve ha un valore immenso, non pensiamo soltanto allo sci"
L'ecologo e pedologo Michele Freppaz spiega perché le precipitazioni di questi giorni non bastano a compensare stagioni di scarso innevamento. "Bisogna avviare la transizione di località sciistiche dove non nevica più"
3 minuti di lettura

Lo scorso inverno i paesaggi montani delle Alpi sono stati brulli, chiazzati dal marrone dell'erba secca invece che ammantati di bianco. La stagione sciistica del 2022-2023, che si inaugura tradizionalmente con il fine settimana dell'Immacolata, sembra invece avviarsi con tanta neve e impianti aperti nei comprensori più importanti. Per dire se la crisi è passata e se le nevicate di questi giorni aiuteranno a ristabilire l'equilibrio negli ecosistemi montani è ancora presto. Perché lo spiega Michele Freppaz, ecologo della neve e pedologo dell'Università di Torino.
 

"La neve è una straordinaria sentinella ecologica - dice il professore - e svolge molteplici funzioni. Il manto bianco che la maggiore parte di noi apprezza per la bellezza paesaggistica, o per le attività sportive, in realtà ha un valore molto più alto di quello che gli attribuisce l'industria turistica".

L'ecologo della neve Michele Freppaz
L'ecologo della neve Michele Freppaz 

Le nevicate di inizio dicembre sono un buon segnale per l'inverno imminente?
"Difficile dirlo, l'innevamento è caratterizzato da una forte variabilità interannuale ed è comune che ci siano notevoli differenze tra un inverno e l'altro. Quello però che si sta osservando sulle Alpi, a quote intorno ai 1300-1500 metri, è ormai una riduzione costante della durata della neve al suolo e del suo spessore, con una maggiore frequenza di episodi di pioggia su neve nel corso dell'inverno. Racconto spesso un aneddoto a questo proposito: nel 1934 un famoso climatologo e glaciologo valdostano, Umberto Monterin, in un Manualetto di istruzioni scientifiche per alpinisti del CAI, chiedeva agli affiliati di segnalargli subito eventuali piogge osservate sopra ai 3500 metri in estate sulle Alpi. Questo perché, anche nei mesi estivi, precipitazioni non nevose a quelle altezze si consideravano un fatto davvero straordinario. In poco più di 90 anni, invece, vediamo la pioggia a quote elevate anche in inverno, per non parlare della primavera. Ciò comporta anche la maggiore frequenza di un particolare tipo di valanghe, dette da slittamento, originate dalla presenza di un film d'acqua che "lubrifica" il manto nevoso a contatto con il suolo. Sono valanghe caratterizzate da un elevato potere erosivo, in grado di accumulare ingenti quantità di suolo nelle aree d'accumulo".

Perché serve la neve e non solo la pioggia?
"Un inverno nevoso è un bene per tutti: l'emergenza idrica non è finita e neve in montagna significa pioggia in pianura ma anche una significativa risorsa idrica che verrà resa disponibile in primavera. Dobbiamo augurarci che il deficit idrico sia compensato da abbondanti nevicate, in grado di accumularsi gradualmente nel corso dell'inverno, senza eventi estremi purtroppo sempre più frequenti in relazione agli affetti del cambiamento climatico. Di neve ne servirebbe davvero tanta, perché poi le estati particolarmente calde con lo zero termico che si osserva a volte fino a 5mila metri di altezza rischiano di depauperare in fretta anche una buona riserva di neve".

Quali sono i servizi ecosistemici che fornisce la neve?
"Spesso ignoriamo che un manto nevoso di sufficiente spessore in montagna è un ottimo isolante termico, indispensabile per la vita del suolo e della vegetazione, che ne hanno bisogno per essere preservati e protetti dai rigori dell'inverno. La neve a terra ha poi la funzione di accumulare specie chimiche: se l'inquinamento non è elevato questo deposito di sostanze chimiche non va visto in senso negativo, perché nei primi giorni di disgelo significa avere a disposizione per la vita del suolo e delle piante una soluzione nutritiva molto concentrata, grazie a un fenomeno naturale noto come ionic pulse. È poi risaputo che la neve fornisce ingenti quantità d'acqua indispensabili ad esempio per la produzione di energia elettrica, con benefici anche per i territori di pianura localizzati a centinaia di chilometri dalle montagne".

Si tratta di servizi che il cambio climatico ha alterato?
"Sì, in maniera preoccupante. Intanto c'è un anticipo della fusione primaverile della neve, che altera i tempi in cui l'acqua diventa disponibile. In pratica, il momento in cui l'acqua arriva a valle sempre più spesso non è più in sincronia e compatibile con l'uso di questa risorsa. La riduzione dell'innevamento, così come l'anticipo della fusione primaverile, hanno poi un significativo effetto sulla vita dei ghiacciai, sempre meno alimentati e protetti dal manto nevoso".

Tutte queste funzioni sembrano offuscate dall'importanza della neve come risorsa turistica. Rischiamo di non proteggere il manto nevoso in nome degli sport invernali?
"La crisi climatica ci sta insegnando che i problemi vanno risolti con un approccio multidisciplinare, per cui vanno sentiti gli esperti di economia del turismo così come i climatologi, i nivologi, i pedologi e tutti quelli specialisti della montagna che vengono formati anche a livello universitario. L'industria dello sci è nata negli anni '50-'60, un periodo di boom economico e nel quale la neve cadeva copiosa, così sulle Alpi si sono costruiti impianti già a mille metri di altezza. Ora è un dato di fatto che alcune stazioni sono state costrette a chiudere e attualmente sono a rischio di innevamento insufficiente anche quelle intorno ai 1300-1500 metri. È indispensabile valutare la resilienza di queste aree a rischio e ripensare il loro utilizzo, superando la monocultura dello sci. Gli impianti di risalita sono prima di tutto mezzi di trasporto, in grado di aumentare la fruibilità della montagna anche nel periodo estivo. Di sicuro, e non è facile, bisogna agire e pensare ora a delle soluzioni, perché qualsiasi progettazione richiede tempo e capacità per gestire questa transizione. Servono strategie e tecniche, persone in grado di scriverle e attuarle, senza sottovalutare l'importanza di comunicare questa transizione alle persone che vivono in montagna. Non sarà un processo rapido, ma va avviato subito".

La neve artificiale può rientrare tra queste strategie?
"Lo stesso rapporto IPCC la definisce una tecnica adattativa, ma può funzionare solo se le condizioni ambientali sono tali da consentirne l'utilizzo: in altre parole, serve a poco produrre neve artificiale che fonde in un battibaleno, perché la temperatura è troppo alta. In più, vanno valutati il costo dell'energia e delle risorse impiegate in un rapporto costo-beneficio. Va chiarito che nella creazione di neve artificiale non vengono usati additivi chimici, quindi la qualità dell'acqua come risorsa non viene pregiudicata".