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Il caso

Anche la neve artificiale non è una garanzia. Mentre lo sci alpino diventerà sempre più uno sport di lusso

Le immagini da una webcam su Andermatt - Gütsch (2344m), 1.849 m il 9 gennaio 2023
Le immagini da una webcam su Andermatt - Gütsch (2344m), 1.849 m il 9 gennaio 2023 
Con gli inverni sempre più avari di neve nelle Alpi i comprensori sciistici sono sempre più tentati di puntare tutto sulla neve artificiale. Ma uno caso in Svizzera smorza gli entusiasmi
3 minuti di lettura

Gli impatti per il turismo del secondo anno scarso di neve sono enormi anche a nord delle Alpi. Il cantone dei Grigioni ha chiuso per giorni il grande comprensorio Splügen-Tambo: troppo caldo anche per i cannoni. Perfino il "tradizionale" Festival Mondiale della Neve di Grindelwald è stato cancellato. Anche la più ferrea tradizione capitola di fronte alle temperature che crescono.

La dipendenza di abitudini ed economie montane dalla temperatura dell'aria è più che evidente. Nei prossimi decenni il turista invernale in scarponi e tuta da sci, dovrà munirsi di ombrello: si stima infatti un lieve aumento delle precipitazioni invernali, ma cadrà più pioggia e meno neve. Secondo l'ufficio del turismo nazionale il numero di sciatori giornalieri, alla fine del 2022, è diminuito dell'8%, "a causa della pioggia, delle temperature quasi primaverili e della mancanza di neve a bassa quota".

Il caso elvetico

Ora, dunque, vengono messe in discussione alcune scelte del passato e l'intera prospettiva futura dei colossali comprensori elvetici. In uno studio condotto dal Dipartimento di Scienze Ambientali dell'Università di Basilea, in Svizzera, gli esperti si chiedono se gli investimenti di diversi milioni di franchi svizzeri per ampliare la stazione sciistica di Andermatt-Sedrun-Disentis sia stata "una decisione miope, di cui ci si pentirà in futuro".


Secondo loro l'innevamento artificiale potrebbe garantire una stagione sciistica di 100 giorni (una misura della profittabilità di un resort invernale) nelle zone più alte del comprensorio, a più di 1800 metri sul livello del mare almeno fino al 2100. In una certa misura si potrebbe compensare la situazione con nuovi cannoni da neve, ma solo in parte, scrivono i ricercatori. E comunque non a Natale: ormai fa spesso troppo caldo. I risultati sono pubblicati sull'International Journal of Biometeorology.

"Molti non si rendono conto che per l'innevamento servono anche determinate condizioni meteorologiche", spiega Erika Hiltbrunner, della Università di Basilea. "Non deve essere troppo caldo o troppo umido, altrimenti non ci sarà un raffreddamento sufficiente per l'evaporazione dell'acqua spruzzata, che congelerà nell'aria e scenderà come neve". L'aria calda assorbe più umidità e quindi, man mano che gli inverni diventano più caldi, diventa sempre più difficile o impossibile produrre neve. In altre parole: "In questo caso, le leggi della fisica pongono chiari limiti all'innevamento". L'utilizzo di nuovi sistemi di produzione di neve artificiale, che consentono temperature poco sopra lo zero termico aiuteranno poco, e costeranno molto.

Anche il costo è un problema. L'innevamento tecnico sarà sempre più caro: nei prossimi 80 anni nel comprensorio il consumo di acqua per l'innevamento aumenterà di circa l'80%. In un inverno medio presto servirebbero circa 540 milioni di litri d'acqua, rispetto agli attuali 300 milioni.
Adelboden, Svizzera. La neve scarsa nella località a 1350 mt durante i mondiali di sci alpino
Adelboden, Svizzera. La neve scarsa nella località a 1350 mt durante i mondiali di sci alpino (ansa)

Costi che si riflettono sugli skipass, che rincarano. Lo sci alpino evolverà sempre più in uno sport di lusso. "Prima o poi, le persone con un reddito medio non potranno più permetterselo. La neccessità di acqua", spiega ancora Hiltbrunner, "è probabile che genererà un conflitto tra la richiesta per la stazione sciistica e quella per la produzione di energia idroelettrica".

L'Italia senza neve

Preoccupa però anche il futuro del turismo invernale dalle Alpi agli Appennini. Dove la domanda principale è se conviene sfruttare le piste fino all'ultimo fiocco, e poi restare all'asciutto di neve e dei turisti, o invece operare una transizione verso forme di turismo invernale alternative e sostenibili nel tempo.


Dice Massimiliano Fazzini, nivologo presso la Università di Camerino. "Analizzando i dati scientifici e le tendenze recenti, è evidente che nei prossimi 30 anni il limite di sciabilità dei 100 giorni potrebbe essere tra i 1700 ed i 1900 metri, sia sulle Alpi che sugli Appennini, dove la pratica dello sci sarebbe pertanto relegata alle quote sommitali dei maggiori comprensori sciistici".

In un rapporto del dicembre 2022 anche la Banca d'Italia lancia un allarme. Considerate le condizioni meteorologiche e i flussi turistici in 39 località sciistiche tra Valle d'Aosta e Trentino negli ultimi 20 anni, e viste le relazioni tra condizioni di neve, costi degli skipass, e pernottamenti nelle stazioni sciistiche, gli esperti della banca hanno misurato il rischio di perdite turistiche dovute al cambiamento climatico.

Si legge nel rapporto: "nei prossimi anni gli impatti dei cambiamenti climatici sugli skipass e sui pernottamenti potrebbe essere cospicuo", soprattutto alle basse quote. E poi: "Troviamo inoltre evidenze che l'innevamento artificiale ha solo un debole effetto sui flussi di turismo invernale" e propone "la necessità di un approccio più completo alle strategie di adattamento."
 

Conclude l'istituto bancario: "La neve artificiale può coprire da perdite finanziarie occasionali in anni di scarso innevamento, ma non proteggerà da inverni progressivamente più caldi". E invita a forme di adattamento, affinché ci sia una transizione verso un turismo innovativo per l'ambiente alpino. Questo eviterebbe di pentirsi di investimenti avventati, e impattanti, come rischia il famoso comprensorio elvetico.