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Il caso

Greenpeace, ReCommon e 12 cittadini fanno causa ad Eni per le sue emissioni

(foto: Stampaestera.org)
(foto: Stampaestera.org) 
Prima azione legale civile italiana contro la multinazionale. Coinvolti anche Mef e Cassa Depositi e Prestiti. I ricorrenti: "Chiediamo che vengano accertate le responsabilità dell'azienda per i suoi danni climatici e la violazione dell'Accordo di Parigi"
2 minuti di lettura

Prima azione legale civile italiana contro la multinazionale dell'oil and gas Eni per "violazione dell'Accordo di Parigi sul clima". Lo hanno annunciato oggi Greenpeace Italia, ReCommon e dodici cittadini italiani tutti uniti in quella che è di fatto una prima climate litigation del genere in Italia, un'azione molto simile - che chiama in causa anche i diritti umani - a quella che ha indotto un tribunale dei Paesi Bassi a stabilire che Shell è responsabile di aver danneggiato il clima del Pianeta, imponendo alla compagnia britannica di ridurre le proprie emissioni di anidride carbonica.

Punto cardine della causa è il fatto, tuonano da Greenpeace, che per la prima volta avvenga "l'accertamento danni, che un giudice riconosca le responsabilità in termini di crisi climatica del soggetto di diritto italiano Eni, oggi da considerare il maggiore responsabile di emissioni climalteranti in Italia".
 
Come ha spiegato Antonio Tricarico di ReCommon, il "nostro Paese è già oggi tra le zone più esposte di tutto il Mediterraneo ai cambiamenti climatici. Sarebbe criminale mettere la testa sotto il  tappeto e non agire, non guardare a chi ci ha portato a questa situazione. Per cui ReCommon e Greenpeace hanno deciso di metterci la faccia,  nelle aule di tribunale, per una giusta causa, urgente, che chiede giustizia e riconoscimento delle responsabilità di Eni come grande emettitore".

Nel mondo oggi si contano già oltre 2600 fra ricorsi e cause climatiche contro governi e società private e quella annunciata in mattinata si tratta della prima causa civile per una società privata sul tema climatico, una causa contro "il campione fossile del mondo che impone con forza una agenda di espansione del gas fossile, inconciliabile con l'agenda dei diritti umani e l'Accordo di Parigi".
 
Per Simona Abbate di Greenpeace è dunque necessario "non voltarci mai dall'altra parte e mettere finalmente davanti alle sue responsabilità chi ha causato consapevolmente i cambiamenti climatici in corso".
 
Insieme alle associazioni, anche dodici cittadini italiani che provengono da aree come Dolomiti, Pianura Padana, zone costiere o Po, tutti luoghi che oggi stanno già subendo forti trasformazioni a causa del riscaldamento globale.

Per esempio Rachele Caravaglios, 21 anni di Torino, racconta di non volere "vivere in un mondo in cui sarò costretta a subire cambiamenti sempre più impattanti. Pago le tasse e una parte va a finanziare progetti che vanno a ledere il mio futuro: come cittadina non lo accetto, ho diritto a vivere una vita non sconvolta dai cambiamenti partiti da una azienda singola".

Per Vanni Destro, veneto che abita in zona Polesine, "qui già subiamo i cambiamenti climatici in maniera pesante. Da qualche anno il mare entra nei terreni, la siccità e il cuneo salino si fanno sentire. Ho deciso di mettermi in gioco per il mio territorio e non solo".
 

Dal canto suo Eni "prende atto dell'iniziativa annunciata oggi da ReCommon e Greenpeace. - Eni dimostrerà in Tribunale l'infondatezza dell'azione messa in campo e, per quanto necessario, la correttezza del proprio operato e della propria strategia di trasformazione e decarbonizzazione, che mette insieme e bilancia gli obiettivi imprescindibili della sostenibilità, della sicurezza energetica e della competitività del Paese. Eni si riserva a sua volta di valutare le opportune azioni legali per tutelare la propria reputazione rispetto alle ripetute azioni diffamatorie messe in campo da ReCommon, a partire dal ruolo che l'associazione ha cercato di ritagliarsi nell'ambito della vicenda giudiziaria Opl245 terminata con la totale insussistenza delle accuse e danni reputazionali alla società e alle sue persone".
 

Nella causa sono coinvolti anche Ministero dell'Economia e delle Finanze e Cassa Depositi e Prestiti - in qualità di "azionisti che esercitano un'influenza dominante sulla società" - visto "il controllo che hanno sull'Eni che continua a puntare sulla produzione di petrolio e gas".

Davanti al Tribunale di Roma verrà dunque chiesto "l'accertamento del danno e della violazione dei loro diritti umani alla vita, alla salute e a una vita familiare indisturbata". L'indicazione sulla possibile data per la prima udienza è il 30 novembre, dunque già da settembre probabilmente si conoscerà la posizione di Eni sulla questione.

Fra le richieste, quella che  Eni "sia obbligata a rivedere la propria strategia industriale per ridurre le emissioni derivanti dalle sue attività di almeno il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, come indicato dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l'aumento medio della temperatura globale entro 1,5 °C secondo il dettato dell'Accordo di Parigi sul clima".