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Tecniche di evoluzione assistita in agricoltura (TEA): così la genetica soccorre l'agricoltura

Tecniche di evoluzione assistita in agricoltura (TEA): così la genetica soccorre l'agricoltura
La sperimentazione del "genome editing" che rende le colture più resistenti a siccità, eventi meteo estremi e parassiti fa discutere. Ma il mondo scientifico sottolinea le differenze con gli Ogm di prima generazione. "L'idea che intervenendo sulle mutazioni genetiche si possa generare un problema, e non viceversa favorire nuova biodiversità, è frutto di un pregiudizio"
3 minuti di lettura

L'agricoltura italiana potrebbe essere vicina a una svolta. Grazie all'ingegneria genetica. Che renderebbe frutta e ortaggi più resistenti alla siccità o ai parassiti, risparmiando alle nostre campagne insetticidi e fungicidi. Dopo il via libera nelle commissioni congiunte Agricoltura e Ambiente del Senato all'emendamento al Dl Siccità, che rende possibile la sperimentazione in campo aperto delle Tecniche di evoluzione assistita in agricoltura, che danno vita all'acronimo Tea, si fa largo una nuova opportunità.

In grado di cogliere gli sviluppi dell'ultimo decennio delle tecniche di biologia, in particolare del genome editing, che consentono di intervenire in maniera puntuale correggere il DNA, in questo caso dei vegetali, anche a livello di una singola "lettera". Ma se l'approvazione, annunciata come "svolta epocale" dal senatore di Fratelli d'Italia Luca De Carlo, primo firmatario dell'emendamento, è accolta con un applauso dal mondo agricolo e dal ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida, non mancano le prime levate di scudi, a cominciare dalla protesta di Greenpeace. "Con questo voto  - denuncia l'associazione - l'Italia fa un passo verso l'abbandono della sua ventennale linea rigorosamente contraria agli Ogm, aprendo ad una sperimentazione in campo che rappresenta la premessa per portare sulle tavole degli italiani cibo geneticamente modificato".
 

Dalle radici alla resistenza ai patogeni: come rafforzare meli e viti


C'è davvero da preoccuparsi o, piuttosto, si tratta di una strada virtuosa per soccorrere la natura in difficoltà? Non ha dubbi Roberto Defez, senior researcher all'Institute of Biosciences and BioResources del CNR: "Dai meli alle viti, passando per riso e pomodoro, conosciamo la fragilità delle piante - dice - e possiamo favorire una loro risposta adattiva alle aggressioni e ai cambiamenti climatici, e finalmente sarebbe consentita la sperimentazione in campo alle nuove tecniche, sin qui bloccata. Ed è come se finora avessero consentito di progettare un motore di nuova generazione per la Ferrari, vietando di far testare l'auto anche su una pista privata".


Metafore a parte, il mondo della scienza confida senza grossi dubbi sulle opportunità legate alle Tea. Sottolineando una differenza di fondo con gli Ogm di prima generazione, gli organismi geneticamente modificati, che nascono con il trasferimento di un gene esogeno da un organismo donatore a uno ricevente, come nel caso del mais rafforzato nella resistenza a un parassita, la piralide, grazie all'innesto nel suo DNA di un gene proveniente da un batterio, e quindi trasferendo migliaia di lettere del suo patrimonio genetico. Nel caso delle Tea, invece, viene di fatto "tagliato" un punto del DNA predeterminato, inserendo o eliminando minuscole sequenze, addirittura una sola "lettera", di un gene.


"Un po' come se si operi in laparoscopia - spiega Defez - modificando con precisione il singolo gene, in modo per esempio da chiudere la porta d'accesso dei funghi alle piante. Con l'obiettivo di ridurre drasticamente l'utilizzo di sostanze chimiche: l'Italia usa il 22% dei fungicidi dell'intera Europa, spesso con effetti a lungo termine su terreni a monocolture. E per il riso si può ipotizzare una mutazione nel DNA che favorisca un'architettura delle radici che esplori la profondità del terreno, rendendolo più resiliente alle condizioni di siccità". Che sono sempre più frequenti.


I vantaggi potrebbero essere duplici, insomma: la riduzione dell'impatto ambientale dei pesticidi, che diventerebbero meno indispensabili, e un aiuto esterno agli organismi già oggi a rischio per le mutate condizioni climatiche.


Eppure resta nutrito il partito di chi preferirebbe una minore intromissione dell'uomo nei processi naturali. Ma alcune precisazioni sono opportune. La prima: contrariamente a quanto accade con gli Ogm, la differenza tra piante oggetto di mutazioni spontanee (e dunque del tutto naturali) e piante oggetto di mutazioni indotte (e dunque frutto di tecniche di evoluzione assistita) non è individuabile. "L'idea che intervenendo si possa generare un problema, e non viceversa favorire nuova biodiversità, è frutto di un nostro pregiudizio", rileva per esempio Defez.

In mezzo mondo i pomodori sono già "assistiti"

C'è poi un'altra questione. "Ad oggi  - evidenzia il biotecnologo del CNR  - l'Italia importa ogni giorno 10 mila tonnellate di soia geneticamente modificata, con un costo stimabile intorno ai 2,5 miliardi di euro all'anno. Questo vuol dire che non sono le paure verso il futuro a fermare l'innovazione: si tratta soltanto di comprendere se vogliamo porci con maturità scientifica di fronte a un problema, la sopravvivenza delle nostre colture ai cambiamenti climatici e all'aggressione degli agenti patogeni, o perdere l'ennesimo treno, a causa di una nostalgia del passato e di scarsa fiducia nella ricerca".


E del resto alcune malattie genetiche dell'uomo, come la talassemia, già da tre anni in Italia, vengono "corrette" con l'editing genetico. Quanto alle Tea, i tempi sono comunque lunghi: occorre anzitutto redigere i protocolli per la messa in campo delle piante e poi avere sperimentazioni che convalidino i dati di laboratorio. Vuol dire che prima di quattro o cinque anni non mangeremmo prodotti "migliorati" con le tecniche di evoluzione assistite.

"Il tutto - conclude Defez - mentre nei supermercati di mezzo mondo, dall'Australia al Giappone, già si trovano per esempio pomodori o broccoli ricavati da tecniche di evoluzione assistita in agricoltura, indistinguibili dagli altri perché quella variazione del DNA, indotta dall'uomo e funzionale a una migliore risposta alle nuove condizioni esterne, non ha nulla di diverso da variazioni analoghe e spontanee".