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Le idee

L'Italia faccia la sua parte per la protezione degli oceani

L'Italia faccia la sua parte per la protezione degli oceani
La Giornata mondiale degli oceani deve essere il momento per ribadire l'importanza del "Trattato di alto mare": l'accordo per la protezione degli ecosistemi marini non deve restare sulla carta
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La giornata mondiale dedicata agli oceani, quest'anno, può finalmente celebrare anche un traguardo fondamentale per la protezione degli ecosistemi marini. Soltanto due mesi fa, infatti, le Nazioni Unite hanno siglato il "Trattato di alto mare", con il quale si è finalmente concordato a livello internazionale di proteggere la porzione di mare al di fuori dei confini giuridici nazionali e quindi al di fuori delle zone di sfruttamento economico dei Paesi che si affacciano sul mare.

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Il Trattato ha finalmente riconosciuto dunque che non esiste negli oceani una sorta di "terra di nessuno" non soggetta a nessuna effettiva regolamentazione: si tratta di 240 milioni di chilometri quadrati, il 64% della superficie degli oceani e quasi il 50% della superficie dell'intero Pianeta, una distesa immensa. Ci sono voluti quasi due decenni per arrivare a fare questo accordo, perché gli interessi economici che insistono su questa metà del Pianeta sono enormi e sono alla base di azioni che mettono a serissimo rischio la salute degli ecosistemi marini: pesca insostenibile e illegale, traffico marittimo, inquinamento acustico, rilascio di plastica e inquinamenti chimici, prelievo delle risorse minerali e biologiche e scarico di materiali pericolosi, inclusi prodotti radioattivi derivanti da incidenti nucleari.
 

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Fino ad oggi lo sfruttamento a fini alimentari del mare, che sta mettendo in serissimo pericolo la biodiversità degli oceani potevano essere praticate senza alcun controllo o restrizione. Fino ad oggi, navi da pesca gigantesche e ipertecnologiche erano in grado di pescare in mare aperto milioni di tonnellate di pesci prima di avvicinarsi alla costa, impoverendo la pesca artigianale e sostenibile dell'America latina, dell'Africa e di tantissimi piccoli paesi insulari.
 

Prima del "Trattato d'alto mare" non esistevano gli strumenti necessari per istituire le aree marine protette in oceano aperto e solo l'1,2% è stato protetto finora, con danni incommensurabili alle acque internazionali più vulnerabili e ricche di biodiversità, mentre ora sarà possibile raggiungere gli obiettivi, fissati dalle Nazioni Unite per il 2030, per la difesa del 30% del Pianeta blu.
 

Il trattato sancisce poi un principio fondamentale per disciplinare lo sfruttamento delle ambite e preziose risorse presenti nelle acque internazionali: ogni progetto di estrazione deve essere soggetto a una valutazione di impatto ambientale preventiva. I ricchi di giacimenti di metalli preziosi come nichel, manganese, litio e cobalto, di terre rare e materie prime critiche, molti dei quali sono indispensabili per le tecnologie digitali, per le batterie di ultima generazione o per la produzione di energie rinnovabili non saranno più prelevati dai fondali dell'alto mare senza controllo alcuno. D'ora in poi tutte le attività di sfruttamento delle risorse marine d'alto mare potranno essere fatte solo se il loro utilizzo avrà un impatto ecologico trascurabile. Si tratta di un atto importante di giustizia ambientale che tutela il Pianeta blu, ma anche gli interessi di tutte quelle nazioni che fino ad oggi, non avendo le risorse e le tecnologie necessarie per utilizzare le risorse in alto mare, potevano solo assistere inermi al saccheggio operato dalle grandi potenze.
 

Mari oceani sono indispensabili alla nostra salute, al benessere e all'economia del Pianeta e da oggi abbiamo uno strumento in più per poterli proteggere. Ma questo non basta, ogni Paese deve fare la propria parte per proteggere il capitale naturale e la biodiversità dei propri mari a partire dall'Italia.
 

*Roberto Danovaro è Direttore del Dipartimento di Scienze della Vita e dell'Ambiente presso Università Politecnica delle Marche