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Biodiversità

L'influenza aviaria minaccia le Galapagos, a rischio la sopravvivenza di specie uniche

L'influenza aviaria minaccia le Galapagos, a rischio la sopravvivenza di specie uniche
(afp)
Il virus H5N1, già individuato in Ecuador e altri stati dell'America del Sud, si sta rivelando particolarmente letale per l'avifauna selvatica. Gli esperti: "Impossibile arginarlo"
2 minuti di lettura

Un pinguino che vive soltanto nell'arcipelago, la poiana che prende il nome dalle isole, la fregata magnifica, migratore capace di percorrere in un singolo volo 200 chilometri. Sono soltanto alcuni tra gli uccelli che potrebbero essere decimati, o addirittura estinti, a causa dell'epidemia di influenza aviaria che interessa le Galapagos, uno dei più importanti scrigni di biodiversità del Pianeta. L'Ecuador ha annunciato ieri di aver attivato un piano per proteggere gli uccelli selvatici delle isole, dopo che soprattutto a Genovesa e Wolf sono stati avvistate decine di animali morti o malati. Un team di esperti eseguirà delle analisi, ma ci sono pochi dubbi che si tratti di un’epidemia del virus H5N1, già individuato sulla terraferma.

 

Lo scorso dicembre, Quito aveva dichiarato un'emergenza sanitaria di 90 giorni, dopo aver individuato il virus altamente contagioso in alcuni allevamenti e aver ordinato l'abbattimento di circa 180.000 gallinacei. L'epidemia non riguarda soltanto L'Ecuador: il virus dell'influenza aviaria ha raggiunto il Sud America attraverso gli uccelli selvatici migratori alla fine dello scorso anno, colpendo soprattutto il Perù, dove sono morti almeno 14mila uccelli marini, soprattutto pellicani. Lima aveva ordinato l'abbattimento di almeno 37.000 polli, per cercare di controllare l'epidemia, mentre il Venezuela, sempre all'inizio di dicembre, aveva dichiarato un'allerta sanitaria di 90 giorni in cinque stati costieri e vietato il movimento di uccelli vivi nelle zone di quarantena.

 

 

Purtroppo, come ben ci ha insegnato la pandemia di Covid, i virus non conoscono confini né distinzioni di emisferi e secondo le autorità statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie, l'aviaria che minaccia gli uccelli selvatici delle Galapagos è iniziata in Canada e si è diffusa negli Stati Uniti, dove si è registrato un record di 50 milioni di morti aviarie. Non è immune dall'epidemia neanche l'Europa, che secondo le autorità di controllo Ue sta vivendo la peggiore epidemia di questo virus. Non esiste una cura per l'influenza aviaria e non ci sono pericoli immediati per l'uomo, che non viene in genere infettato, anche se ci sono stati rarissimi casi di questo tipo. Non è neanche la prima epidemia di questo tipo che investe gli allevamenti intensivi, ma quanto sta accadendo nelle Galapagos, spiegano gli esperti, pone l'attenzione su alcuni aspetti peculiari di questa emergenza, perché il virus ha mostrato una capacità maggiore di infettare le specie selvatiche.

 

 

Il ministero dell'Ambiente ecuadoriano ha detto di aver istituito un comitato tecnico interistituzionale per "adottare misure preventive" per garantire la sicurezza degli uccelli e della produzione di pollame nell'arcipelago, dove si trovano 35 allevamenti di  ora sotto stretto monitoraggio. Poiché, come detto, non esiste una cura per l'influenza aviaria, le uniche misure possibili sono volte a prevenire l'ingresso della malattia nelle isole.

 

«Il possibile impatto sulle specie endemiche delle isole è spaventoso - sottolinea Mauro Delogu, veterinario del servizio fauna selvatica ed esotica dell'Università di Bologna e autore con Maria Alessandra de Marco dell'Ispra e Claudia Cotti, sempre dell'università di Bologna, di un recente studio proprio sulla trasmissione dei virus aviari nelle specie selvatiche - c'è il rischio altissimo che il Pianeta perda una grossa fetta di biodiversità». Quanto alle possibilità di arginare l'influenza aviaria, l’esperto non lascia speranze: «Il virus è per sua funzione biologica un predatore, eliminarlo non soltanto è quasi impossibile, ma avrebbe ricadute ambientali inimmaginabili. Quanto è accaduto, cioè il passaggio dagli allevamenti alle specie selvatiche, ci conferma una volta di più che finché permetteremo al virus di potersi sviluppare in grossi serbatoi come gli allevamenti intensivi gli renderemo le cose più semplici per rafforzarsi in natura».

 

«Negli ultimi anni, caratterizzati da rapidi cambiamenti climatici e ambientali, si è osservato un nuovo scenario che vede il crescente coinvolgimento degli uccelli selvatici nell'influenza aviaria altamente patogena - aggiunge Maria Alessandra De Marco dell'Ispra -  Quanto sta succedendo a livello globale, cioè questo interessamento dell'avifauna selvatica è inusuale, non si era mai verificato a questi livelli. È chiaro che serviranno studi più approfonditi per verificare il collegamento con la crisi climatica, ma anche solo la siccità, che ha costretto l’avifauna ad ammassarsi nelle poche zone umide, ha rappresentato un fattore di maggiore diffusione».