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L'analisi

Cop26, cosa manca alle promesse di Glasgow perché l'agricoltura diventi davvero sostenibile

Cop26, cosa manca alle promesse di Glasgow perché l'agricoltura diventi davvero sostenibile
(ansa)
La transizione dei sistemi agroalimentari verso modelli più resilienti e sostenibili è urgente. Ma a fronte degli annunci resta il divario economico: le risorse messe a disposizione non bastano
3 minuti di lettura

Manghi in Sicilia, uva da champagne in Inghilterra, caffè tropicale in pericolo, cacao a rischio crollo produzione. I sistemi agroalimentari sono messi a dura prova dalle alterazioni del clima. Ondate di caldo sempre più intense, periodi siccitosi sempre più frequenti e perturbazioni atmosferiche sempre più violente stanno portando a una netta riduzione delle rese agricole. Ai tavoli di Glasgow tuttavia l'agricoltura e la transizione dei sistemi agroalimentari verso modelli più resilienti e sostenibili rimane un argomento laterale.
 

Abbondano gli allarmi lanciati da società civile e Nazioni Unite. "Senza un'azione urgente sui cambiamenti climatici, altri 100 milioni di persone in Africa potrebbero essere trascinati nella povertà estrema nelle prossime otto stagioni, ovvero più di 10 milioni di persone ogni anno fino al 2030", ha affermato l'inviata speciale per la sicurezza alimentare ONU, Agnes Kalibata, durante il Dialogo ministeriale sull'adattamento. "Un'attenzione tempestiva ai sistemi alimentari produrrà soluzioni reali per evitare ulteriori danni all'ambiente".
 

Numerosi sono gli strumenti che da una parte promuovano lo sviluppo di modelli agricoli in grado di adattarsi ai cambiamenti climatici e che dall'altra forniscano incentivi ai produttori affinché possano acquisire gli strumenti e i mezzi necessari per mettere in atto questi adattamenti.
 

Durante la sesta giornata di negoziati, 45 governi guidati dal Regno Unito si sono impegnati ad investire complessivamente 4 miliardi di dollari in azioni per implementare sistemi agricoli rigenerativi e resilienti.
 

Fondi per lo sviluppo di sementi più resistenti alle alterazioni climatiche e in soluzioni per migliorare la salute del suolo, oltre che per rendere accessibili queste innovazioni agli agricoltori di tutto il mondo. Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti hanno invece lanciato l'Agriculture Innovation Mission for Climate (AIM4C), un'iniziativa che cerca di affrontare la crisi climatica nel settore agricolo attraverso ingenti investimenti in ricerca e innovazione e una serrata cooperazione tra Paesi per condividere conoscenze e buone pratiche. Il programma punta a coinvolgere non solo i governi, ma anche il terzo settore, tra cui organizzazioni non governative, enti filantropici, organizzazioni internazionali ed anche aziende sempre con lo scopo di migliorare ed implementare le tecnologie in campo agricolo. Slow Food invece ha presentato il proprio piano di agroecologia per far crescere la produzione alimentare e dimezzare gli scarti entro il 2050.        

Il gap economico

Accanto agli annunci perdura però il divario economico: le risorse messe a disposizione non bastano. Pochi Paesi hanno la capacità di gestirli o di investire e gestire le tecnologie necessarie per la transizione. È fondamentale che la condivisione di conoscenze tra i Paesi sia reale, che coinvolga globalmente gli addetti al settore agroalimentare, dai piccoli produttori che vivono nelle campagne africane ai grandi colossi dell'agribusiness, è l'allarme lanciato a più riprese da organizzazioni ambientaliste. La crisi climatica sta certamente colpendo tutti, ma le popolazioni economicamente più vulnerabili sono quelle che stanno subendo le conseguenze più gravi e disastrose.
 

Clima, i Paesi più vulnerabili in ginocchio

Solo negli ultimi due anni si è assistito a un incessante susseguirsi di eventi calamitosi che hanno messo in ginocchio le economie più fragili: dall'estrema siccità vissuta in Argentina e Brasile che ha portato a una drastica riduzione della portata di uno dei fiumi più importanti del continente, il rio Paranà, alle piogge torrenziali che si sono abbattute su India e Filippine, all'immensa invasione di locuste nel corno d'Africa e ancora ai devastanti incendi che hanno divorato parte della foresta amazzonica. Questi sono solo alcuni degli avvenimenti che hanno portato alla distruzione di migliaia di ettari di raccolti e che hanno messo a repentaglio la vita di milioni di coltivatori, la cui stessa sussistenza dipende dai proventi della terra che lavorano. Le conseguenze della perdita di milioni di tonnellate di prodotti agricoli hanno fatto repentinamente crescere l'insicurezza alimentare a scala globale, con i Paesi in via di sviluppo che subiscono le ripercussioni maggiori.

 

 Nel 2020, secondo le stime della FAO, 2,37 miliardi di persone hanno vissuto in uno stato di insicurezza alimentare moderata o grave: la metà (1,2 miliardi) di queste persone viveva in Asia, un terzo (799 milioni) in Africa e l'11% (267 milioni) in America Latina e nei Caraibi. Per provare a far fronte a questa situazione 1.8 milioni di piccoli produttori agricoli facenti parte della rete Fairtrade (il commercio equo e solidale) hanno ribadito la necessità di sostegno concreto per questi Paesi.
 

"I finanziamenti però devono essere accompagnare con lo sviluppo delle competenze e l'instaurazione di condizioni abilitanti", spiega a Green&Blue Nyagoy Nyong'o, CEO di Fairtrade International. "I finanziamenti devono andare direttamente alle comunità che hanno più bisogno di investire nell'adattamento e nell'agricoltura rigenerativa".

Le misure di adattamento

Gli interventi richiesti riguardano principalmente l'adattamento dei sistemi agroalimentari, che includono per esempio una migliore gestione dell'acqua, l'uso di input biologici, la diversificazione delle colture, l'introduzione di alberi da ombra e l'agroforestazione. Tali tecniche necessitano appunto di investimenti in ricerca e materiali che i paesi economicamente più deboli molto spesso non possono permettersi.

Ma attenzione, l'introduzione delle tecnologie più adeguate ed avanzate deve procedere di pari passo con il mantenimento della biodiversità e della naturalità degli ecosistemi agricoli, così da permettere che il carbonio resti intrappolato nel suolo e che questo rimanga fertile.

"Noi lavoriamo direttamente con gli agricoltori per scegliere specie che si adattano ai cambiamenti climatici senza impattare sul suolo", continua Nyagoy Nyong'o. "In Ghana invece abbiamo lanciato un progetto con una start-up, GoAhead, che lavora per creare progetti di colture agroforestali, così che si può ampliare la produzione alimentare senza tagliare alcun albero".
 

Ma per tanti agricoltori alcune perdite saranno inevitabili. "Un altro elemento fondamentale è il Loss&Damage, che oltre che compensare comunità per i danni infrastrutturali può sostenere agricoltori e allevatori danneggiati seriamente e in maniera durevole dagli effetti del cambiamento climatico, permettendo la rapida ripartenza dei sistemi alimentari".


Secondo il Washington Post il fabbisogno finanziario annuale per il Loss&Damage nei Paesi in via di sviluppo potrebbe raggiungere dai 290 ai 580 miliardi di dollari l'anno entro il 2030. Mentre al momento a Glasgow non c'è ancora accordo sul meccanismo e le risorse, tema che con buona probabilità sarà discusso alla prossima Cop27, a Sharm-el-Sheik.