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L'intervista

Samama (Amundi): "La finanza può combattere per il clima, ma solo i governi possono dettare le regole"

Samama (Amundi): "La finanza può combattere per il clima, ma solo i governi possono dettare le regole"
Il direttore investimenti responsabili di Cpr Am: "C'è sempre più interesse ma servono prodotti finanziare più solidi e nuove idee"
3 minuti di lettura

Dai 100 miliardi all'anno dagli Stati come aiuti per il clima ai 130 mila miliardi di asset della Glasgow Financial Alliance for Net Zero, passando per fondi di investimento, investimenti multilaterali attraverso Banca Mondiale (25 miliardi per i Paesi meno sviluppati) e Fondo Monetario Internazionale e nuovi strumenti finanziari creativi, come i 350 miliardi di green bond emessi a oggi. Mai come a Cop26 si è parlato del ruolo della finanza pubblica e privata per sostenere la sfida della decarbonizzazione e dell'adattamento ai cambiamenti climatici. Green&Blue ha parlato con Frédéric Samama, direttore investimenti responsabili di Cpr Am, gruppo Amundi, da sempre una voce ascoltatissima sulla finanza climatica.

Finanza, finanza, finanza, sembra non si parli d'altro nelle sale di Glasgow.

"La finanza si sta effettivamente mobilitando. Le cose sono cambiate. Nel 2015 organizzammo il primo evento di azione per la finanza climatica a Cop21 a Parigi. Intervennero 35 investitori con un portfolio investimenti da 800 miliardi di dollari. Sei anni dopo stiamo parlando di centinaia di investitori con cifre mille volte più grandi. In solo sei anni! Questa è la buona notizia".

E invece quella cattiva?

"Mancano ancora concrete soluzioni e prodotti finanziari solidi. Dopo aver mobilizzato le persone e definito cosa sono gli investimenti sostenibili, la nuova battaglia è creare i giusti strumenti, che abbiano una reale efficacia sulla decarbonizzazione e sull'adattamento".

Sul mercato ci sono green bond, adaptation bond, proposte d'investimento con criteri Esg (ambientali, sociali e di governance). Non vanno bene?

"Questo tipo di prodotti deve crescere ancora, ma nella qualità. C'è grandissima domanda ma spesso non sono efficaci, dato che non sono sufficientemente creativi e non ottengono i risultati di riduzione emissioni o di riduzione del rischio climatico".

Come mai?

"Per esempio numerosi fondi si concentrano sull'intensità carbonica. Il 90% delle compagnie certificate da Sbti (un'iniziativa per definire standard scientifici di decarbonizzazione delle imprese), vanno in quella direzione. Ma questo è un dettaglio diabolico. L'intensità delle emissioni è il volume delle emissioni per unità di Pil. Ridurre l'intensità delle emissioni significa che viene creato meno inquinamento per unità di Pil. Ma se il Pil cresce, crescono comunque le emissioni totali. La misura più concreta della riduzione delle emissioni è una 'riduzione assoluta' del volume totale dalla CO2 prodotta. Questo deve essere l'obiettivo che la finanza deve perseguire".

Quali soluzioni ritiene valide?

"Dobbiamo mettere sul tavolo nuove idee, regolarmente. Ho sviluppato i primi indici d'investimento a basso tenore di CO2, ho combinato prodotti passivi ed Esg. Ho lanciato i primi fondi obbligazionari verdi con International Finance Corporation (Ifc, un'agenzia della Banca Mondiale), l'iniziativa da due miliardi di dollari per finanziare infrastrutture verdi nei i mercati emergenti. Abbiamo lanciato un processo di allineamento dei fondi con gli obiettivi net-zero dei vari Paesi. In tanti dicono sì, facciamolo, però poi poco viene messo sul piatto, serve investire in prodotti come questi".

A Glasgow questa settimana si torna parlare di mercato della CO2 e di carbon tax. Quale strada bisogna scegliere?

"Dal mio punto di vista è importante avere un Emission Trading Scheme globale solido, ovvero una quotazione monetaria delle emissioni e commercio di quote tra Stati e tra imprese. Infatti questo sistema è legato ai volumi di emissione, mentre una tassa è legata all'intensità delle emissioni. Dunque un mercato delle emissioni solido contribuirà nel 2050 a raggiungere la neturalità climatica, dato che ci saranno ancora emissioni inevitabili. Questo mercato servirà a sostenere meccanismi di cattura, uso e stoccaggio della CO2 'inevitabile'. Queste sono a oggi tecnologie troppo costose e inefficaci, ma che saranno a un certo punto inevitabili. Spero quindi che il negoziato abbia successo per creare un mercato delle emissioni globale".

A Cop26 il Regno Unito spinge per un ruolo centrale della finanza privata nella sfida per la decabonizzazione, una via necessaria?

"Non possiamo fare il lavoro dei governi. Tocca a loro regolamentare le compagnie inquinanti, non il settore finanziario. Devono eliminare i sussidi alle fonti fossili, penalizzare i settori più inquinanti. Secondo l'Fmi sono erogati ogni anno 5.900 miliardi di dollari in sussidi, 11 milioni al minuto. Mentre investiamo solo 6 miliardi in ricerca e sviluppo. Investiamo nulla per risolvere il problema e spendiamo un'enormità per crearlo. Il settore finanziario può partecipare e fare la sua parte ma non può risolvere questa stortura. Il rischio di mettere troppa responsabilità sulle nostre spalle può ritorcersi contro, demonizzando il settore finanziario".

Rendicontare le emissioni di gas serra in modo dettagliato è una soluzione per gli investitori per distinguere davvero tra corporation brave e chi fa greenwashing?

"Sì, ma non basta, bisogna conoscere anche le politiche e i piani. Ci sono aziende che possono avere emissioni simili, ma una da vent'anni investe nella decarbonizzazione e l'altra fa solo operazioni di facciata e di compensazione. Se prendiamo Toyota e Volkswagen, capiamo subito chi sta facendo più sul serio".

Spesso quando si parla di investimenti verdi ci si riferisce a mercati americani, europei e in parte asiatici. Mentre aree come l'America latina, l'Africa e alcune economie emergenti asiatiche rimangono escluse.

"Per molti investitori sono considerati 'troppo rischiosi' come mercati. Ma sono anche quelli dove sono più necessari gli investimenti. Eppure in Francia gli investitori - per legge! - non possono investire a causa dei rischi. I fondi pensione non hanno un solo euro allocato in questi mercati. L'altro problema è che gli investitori non hanno infrastrutture locali su cui fare affidamento e conoscenza del contesto dove operano. Per evitare questi ostacoli Amundi ha creato dei green bond, emessi però dalle banche locali e garantiti da Ifc. In questo modo le banche locali hanno indirizzato due miliardi di fondi su progetti locali effettivi di energie rinnovabili e trasporto sostenibile. Rendere più sicuri questi investimenti, così come per gli aiuti allo sviluppo diventa importante per garantire una crescita a basse emissioni anche in queste regioni del Pianeta".