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(Foto: Simona Murrone e Andrea Schiappelli Archivio ParCo)
(Foto: Simona Murrone e Andrea Schiappelli Archivio ParCo) 

Parco archeologico del Colosseo, un ecosistema nella storia

Nel centro di Roma un'oasi di biodiversità che garantisce alla città aria più pulita e risparmio di acqua. Archeologi e ricercatori al lavoro insieme per valorizzare i monumenti in chiave sostenibile

3 minuti di lettura

Le trafficate vie del centro di Roma sono a pochi metri in linea d'aria e poco più in là migliaia di turisti vocianti affollano i percorsi più comuni del ParCo archeologico del Colosseo. Ma qui, sulle pendici meridionali e occidentali del Palatino, si sentono il canto degli uccelli e il ronzio degli impollinatori, immersi in un'aria piena di profumi. "La maggior parte dei visitatori si limita a vedere l'anfiteatro Flavio e il Foro - dice Andrea Schiappelli, responsabile per l'educazione e la didattica del Parco e nostra guida d'eccezione - ma quando scoprono il percorso dell'Anello verde non restano delusi".

Una delle aree archeologiche più visitate al mondo racchiude infatti una preziosa oasi di biodiversità che, oltre ad amplificare il fascino dei monumenti, garantisce a Roma la tutela di ecosistemi dove vivono varie specie animali e vegetali, aria più pulita, gestione oculata delle acque. È proprio alla fine del percorso verde sul Palatino, al Tempio di Venere e Roma prospicente il Colosseo, che il prossimo 5 giugno si terrà l'evento iniziale del Festival di Green&Blue. Donne e uomini protagonisti della lotta al cambio climatico parleranno da un luogo dove la storia e l'arte sono diventati anche un modo per proteggere la biodiversità e non sprecare risorse.

Negli oltre 40 ettari del Parco archeologico del Colosseo architetti del paesaggio, archeologi, ricercatori e tecnici sono impegnati nel valorizzare l'eccezionale ambiente naturale con iniziative che spaziano dal riciclo dei rifiuti e dei materiali, alla realizzazione di progetti pilota di restauro ecosostenibile; dalla raccolta delle piante e dei frutti spontanei del ParCo alla messa a dimora di essenze antiche e rinascimentali legate alla storia del sito. Tutti i progetti, poi, vengono divulgati e comunicati con eventi e percorsi dedicati ai visitatori di tutte le età e approfonditi su pubblicazioni specifiche.

Ad ogni passo del percorso c'è una scoperta: "Là ci sono le nostre arnie - indica Schiappelli - sono posizionate ai piedi delle capanne romulee, dove ha inizio la storia arcaica di Roma, in uno dei punti più tranquilli e più suggestivi, che ha facilitato l'ambientamento delle api e la riuscita del progetto. Abbiamo infatti ottenuto una produzione di miele di buona quantità e di notevole pregio". Nel ParCo si raccolgono le olive dei 189 alberi di varie epoche di impianto, dagli esemplari centenari vicino all'arco di Tito, a quelli più recenti, perfettamente inseriti in un paesaggio di cui gli olivi hanno fatto parte fin dall'antichità. "Gli interventi si basano su accurati lavori filologici di studio delle fonti - spiega lo storico - per esempio, la ricerca sui vini di eccellenza nell'antica Roma ha portato alla conoscenza di un antichissimo vitigno autoctono che Plinio chiama "uva pantastica", da cui deriva il vino Bellone, coltivato ancora oggi intorno a Roma. Poiché la presenza di vigneti nel ParCo è ben documentata, abbiamo avuto l'idea di impiantare una piccola vigna nella zona chiamata appunto "Vigna Barberini", con barbatelle della varietà Bellone".

Dalle attività del ParCo nascono anche ricerche scientifiche sulla fauna e la flora. Il progetto Spectio con l'associazione naturalistica Ornis Italica (la spectio, nella Roma delle origini, era l'osservazione rituale del volo degli uccelli e di altri fenomeni per la divinazione) studia le abitudini della fauna e soprattutto dell'avifauna locale e ha scoperto per esempio che un gabbiano ha intrapreso un viaggio di 750 chilometri fino al Lago di Costanza, in Svizzera, ed è poi tornato alla basilica Emilia. Civette, falchi pellegrini, gheppi, codirossi spazzacamino vengono monitorati con gps, le fototrappole aiutano a osservare i piccoli animali che frequentano il sito e la gestione dell'acqua delle fontane aiuta a sostenere le colonie di rospi smeraldini. Le fontane, appunto, sono state restaurate studiando sistemi per il risparmio e l'utilizzo virtuoso dell'acqua, con il recupero di quella piovana e delle varie fontanelle.

(Foto: Simona Murrone e Andrea Schiappelli archivio ParCo)
 

 

"Ogni nostro intervento mira a valorizzare l'aspetto storico con la sostenibilità - spiega l'archeologa Francesca Boldrighini - così, quando abbiamo restaurato il capitello di pilastro del Tempio di Venere, annerito da patine di colonizzazioni biologiche e inquinamento atmosferico, abbiamo usato un gel di natura polimerica a base acquosa, privo di qualsiasi elemento tossico per gli operatori e per l'ambiente".



L'architetta paesaggista Gabriella Strano è impegnata nella complessa riqualificazione del giardino sulla Domus Aurea e ha già avviato il progetto delle siepi anti inquinamento sulla parte del ParCo prospicente via dei Cerchi, dove sono stati messi a dimora arbusti particolarmente efficaci nell'assorbire il particolato. "Gli studi che portiamo avanti sugli ecosistemi all'interno del ParCo,  - sottolinea Strano - sia che si tratti di riqualificare un giardino, o di rimettere l'acqua nelle fontane, hanno un unico filo conduttore: il beneficio ambientale".