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Le idee

Perché lo stop al greenwashing è un'opportunità

Carlotta Ventura, Chief Communications, Sustainability and Regional Affairs Officer di A2A
Carlotta Ventura, Chief Communications, Sustainability and Regional Affairs Officer di A2A 
La Chief Communications, Sustainability and Regional Affairs Officer di A2A: "Non potremo raggiungere gli obiettivi di impatto climatico se non saremo tutti partecipi di questo sforzo industriale, finanziario e culturale"
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La sostenibilità è cambiata, se ne parla talmente tanto, e ne parlano talmente in tanti, al punto che l’industria dei giocattoli ha creato una Barbie Chief Sustainability Officer: una bambola eco-leader. Una buona notizia perché il tema è uscito dai gruppi ambientalisti o dalle scuole di ingegneria, una cattiva perché troppo rumore di fondo banalizza sia chi fa bene nella lotta al cambiamento climatico o alle ingiustizie sociali, sia chi approfitta dell’onda per cavalcarla, senza averne il diritto.
 

Se gli americani hanno pensato per primi alla bambola, gli europei hanno fatto qualcosa in più: con il Green Deal l’Ue ha messo al centro della questione internazionale le tematiche di sostenibilità, con un Piano volto a rendere l’Europa il primo continente climaticamente neutro al 2050. A gennaio è entrata in vigore la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) che introduce obblighi più stringenti di rendicontazione sulle tematiche ambientali, sociali e di governance. I due fatti sono connessi: non potremo raggiungere gli obiettivi di impatto climatico se non saremo tutti partecipi di questo sforzo industriale, finanziario e culturale.
 

Durante e dopo la pandemia il tema del green è diventato di massa, ma se non c’è un controllo che alle dichiarazioni seguano azioni concrete e misurabili, il rischio di attribuirsi medaglie immeritate è concreto. Il mondo della pubblicità ha reso familiari argomenti come la neutralità carbonica, ma in diversi frangenti se ne è abusato ed è diventato comune anche il termine greenwashing, pratica non recente visto che è del 1986 il copyright di Jay Westerveld. Allo stesso tempo, la finanza ha colto il potenziale delle società che perseguono un successo sostenibile e oggi richiede informazioni e obiettivi chiari sull’ESG. L’Ue ha deciso di essere protagonista valorizzando le aziende che hanno posto la sostenibilità al centro della propria strategia - con il Regolamento sulla Tassonomia degli Investimenti Sostenibili - e indirizzando tutto il sistema verso gli obiettivi della transizione ecologica, per cui la sostenibilità deve permeare i processi aziendali.


La CSRD estende l’ambito di applicazione: in Italia si passerà da 200 aziende già coinvolte per la rendicontazione non finanziaria a quasi 4000. La direttiva richiede dettagli sugli impegni presi e sulle policy ESG, con particolare attenzione alla value chain. Un’istanza che impatterà sulle PMI e mostrerà come può essere critico reperire dati da piccoli fornitori non strutturati e da filiere sbilanciate in Paesi non normati su queste tematiche. Questi attori in molti casi sono aziende di dimensioni contenute, il cui percorso su tematiche non finanziarie ha diversi gradi di maturità. Qui si apre un ruolo fondamentale per i grandi player: possono costituirsi come facilitatori verso le PMI tramite, ad esempio, programmi di engagement e formazione.


Il cardine di questo engagement è evidenziare come l’integrazione di elementi ESG all’interno nei piani aziendali consenta una maggior competitività e una facilitazione nell’accesso ai capitali. Sarà un grande sforzo, ma farà chiarezza e sta facendo fiorire nuovi profili professionali e, quindi, nuovi posti di lavoro qualificati. Considerando lo scenario, la CSRD è un esercizio di cui non si può fare a meno e occorre farlo bene per coglierne le opportunità.