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Aziende sostenibili

Illy, per un'agricoltura che diventi rigenerativa

Andrea Illy, patron dell'omonimo gruppo
Andrea Illy, patron dell'omonimo gruppo 
Andrea Illy, patron del gruppo, ha da sempre un’attenzione alle tematiche ambientali. Ora punta su colture senza fertilizzanti e pesticidi
3 minuti di lettura

La sua passione per la sostenibilità è nata 40 anni fa, quando era studente a Losanna. E il grande passo lo ha compiuto nel 2018, quando ha preso un anno sabbatico per capire come decarbonizzare la propria azienda, puntando anche su quella che Andrea Illy, patron dell'omonimo gruppo che produce caffè, chiama l'agricoltura "rigenerativa". Una sfida a cui ha dedicato una Fondazione, la Regenerative Society Foundation (RSF), nata nel 2020 con, tra gli altri, gli imprenditori Maria Paola Chiesi e Davide Bollati di Davines, e da lui presieduta insieme con l'economista Jeffrey Sachs.

 

Cosa significa "rigenerativa"?
"Il modello di sviluppo nato con la rivoluzione industriale è estrattivo, cioè prende sia dalla biosfera che dalla geosfera. Ed è un modello lineare che a fine vita lascia lo scarto. Il modello rigenerativo è l'opposto, è spontaneo, è circolare perché le risorse vengono riutilizzate e debella l'inquinamento perché o lo previene o lo neutralizza. L'errore secolare è stato il dualismo tra natura e cultura (intesa come scienza, tecnologia ed economia) dimenticando che siamo il frutto della biosfera e che la nostra vita dipende esclusivamente da essa. Le interazioni e interdipendenze tra tutti i fattori di un sistema rigenerativo creano un livello di complessità straordinario che, al contrario dell'approccio riduzionista generalmente applicato, richiede una visione sistemica".


E come avviene in agricoltura il processo rigenerativo?
"Nell'agricoltura convenzionale il suolo è come il polistirolo, un supporto dove si innestano le radici, ma senza un ruolo chimico. Per quello ci sono i fertilizzanti, che col tempo però mineralizzano i suoli facendo perdere fertilità. I suoli devono invece mantenere il loro tenore di carbonio organico".

 

Cosa si dovrebbe fare allora?
"Si può utilizzare il sovescio, una pratica che consiste nell'interramento di alcune piante, come le leguminose, che rilasciano azoto nel terreno nutrendolo. Oppure spargendo il compost, che possiede una straordinaria capacità di catturare il carbonio. Una tonnellata di compost può annullare oltre 100 kg di C02".

 

E per combattere le malattie delle piante?
"Diversamente dall'agricoltura convenzionale, che sopprime i patogeni tramite una vasta gamma di difensivi chimici, nell'agricoltura rigenerativa la pianta convive con la malattia, contrastandola con le sue difese naturali, riuscendo a resistere, e a mantenere spesso la stessa produttività. A tal fine sono molto importanti le riserve naturali accanto ai campi, perché possono fornire microrganismi, funghi e insetti per potenziare le difese naturali".

 

In questo modo puntate sulla biodiversità?
"Dobbiamo difenderla passando dall'agrochimica al microbiologico. Va preservata la biodiversità del suolo e quella aerea, con tutti i microrganismi, gli insetti e gli uccelli. Anche quella delle piante. Se per esempio in Puglia gli ulivi fossero stati diversi uno dall'altro, forse non sarebbero morti. La biodiversità agricola, la pluricoltura e l'ecosistemica a cui ho fatto riferimento".

 

Ma la nostra agricoltura si basa prevalentemente sulla monocultura.
"È un problema gigantesco. La biodiversità è importante perché fornisce i servizi ecosistemici, prodotti per lo più dalle foreste tropicali. Se le deforesto per fare agricoltura e se faccio monocultura ho anche perdita di biodiversità. Il 50% delle terre abitabili oggi sono dedicate all'agricoltura, 200 anni fa erano solo il 12,5%. È un numero che raddoppia ogni 100 anni. E grano, mais e riso prendono metà delle calorie consumate. Serve riequilibrare il rapporto tra ettari coltivati ed ettari non coltivati. Oltre alla biodiversità, un bosco a margine di una piantagione permette infatti di trattenere l'acqua, abbassare la temperatura e sequestrare carbonio".

 

Come nasce il nome "rigenerativa"?
"L'ho scoperto prima del boom, quando cercavo un nome per il mio modello di agricoltura virtuosa, come l'ho poi chiamata. Una storia affascinante: un editore newyorkese, Jerome Irving Rodale, allergico allo smog, aveva deciso di abbandonare la città e trasferirsi nella sua fattoria in Pennsylvania, ma dopo un breve periodo le allergie tornano e scopre che sono dovute agli agenti agrochimici. Decide di eliminare i pesticidi dai campi introducendo pratiche rigenerative che l'istituto da lui fondato perfeziona in 40 anni di attività, basate sull'intento di arricchire il suolo con carbonio organico, in grado di nutrire il microbiota che a sua volta fissa i minerali come azoto e fosforo. In questo modo diminuisce il fabbisogno di fertilizzanti e le piante producono sostanze fitochimiche che difendono le piante stesse da elementi patogeni. Sono processi naturali, che avvengono negli ecosistemi: da qui il nome rigenerativo".

 

E si hanno anche prodotti più naturali?
"La pianta senza pesticidi si allena da sola per difendersi con fitochimici che produce. Quando vengono ingerite, queste sostanze naturali, dette anche 'xenobionti', possono essere antiossidanti e a volte antinfiammatorie. La logica dice che se queste sostanze sono benefiche dobbiamo dimostrare che coltivando in questo modo diamo benefici alla salute, oltre all'ambiente. Chi compra cibi biologici pensa di far meno male alla salute e all'ambiente. Ed è disposto a pagare un prezzo premium. Il biologico però non può arrivare al 100% dell'agricoltura, ma il rigenerativo spero di sì".