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Spreco alimentare e rifiuti, le sfide dell’Onu al 2030

Spreco alimentare e rifiuti, le sfide dell’Onu al 2030
Promuovere modelli sostenibili di produzione e di consumo è l'Obiettivo 12 dell'Agenda. Un risultato da centrare per la sopravvivenza del nostro Pianeta, vittima dello sfruttamento incontrollato delle risorse da parte dell'uomo
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Secondo l’Onu è quindi assolutamente necessario riportare un equilibrio tra produzione e consumo, in modo tale che il Pianeta possa offrire ai suoi abitanti le risorse di cui necessita. Come si può arginare il problema? Una domanda a cui l’Obiettivo 12 cerca di dare risposte e soluzioni, tra cui: raggiungere la gestione sostenibile e l’uso efficiente delle risorse naturali; dimezzare lo spreco pro capite globale di rifiuti alimentari nella vendita al dettaglio, dei consumatori e lungo tutta la filiera di produzione e fornitura; ridurre in modo sostanziale la produzione di rifiuti attraverso la prevenzione, la riduzione, il riciclaggio e il riutilizzo; incoraggiare le imprese, soprattutto le aziende di grandi dimensioni e transnazionali, ad adottare pratiche sostenibili e integrare le informazioni sulla sostenibilità nelle loro relazioni periodiche.

 

L’Onu sollecita però i Paesi ad accelerare sulla tabella di marcia, anche alla luce dei dati allarmanti che arrivano dal nuovo Food Waste Index Report 2021 delle Nazioni Unite, il cui stima in quasi un miliardo di tonnellate il cibo sprecato ogni anno. Cibo che finisce nei cestini dei rifiuti di famiglie, dettaglianti, consumatori, ristoranti e altri servizi alimentari. Una quantità tale che, secondo il rapporto, può essere equiparata a circa 23 milioni di camion da 40 tonnellate a pieno carico che, messi in fila, farebbero il giro della Terra sette volte.

 

Lo studio rileva che “in quasi tutti i Paesi lo spreco alimentare è stato notevole, indipendentemente dal livello di reddito” e dimostra che la maggior parte di questi rifiuti proviene dalle famiglie, che scartano l’11% del cibo totale disponibile nella fase di consumo della catena di approvvigionamento. I servizi di ristorazione e i punti vendita sprecano rispettivamente il 5% e il 2%. 

 

A livello globale, ogni anno un singolo consumatore spreca 121 chilogrammi di cibo, dei quali 74 nelle famiglie. Il rapporto evidenzia anche che “lo spreco alimentare ha notevoli impatti ambientali, sociali ed economici. Ad esempio, in un momento in cui l’azione per il clima è ancora in ritardo, l’8% -10% delle emissioni globali di gas serra sono associate al cibo che non viene consumato, se si tiene conto delle perdite prima di arrivare a livello del consumatore”.

 

Il problema tocca da vicino l’Italia. Da noi lo spreco alimentare è diminuito, ma il dato è dovuto in parte all’emergenza Covid-19. Tuttavia, secondo l’Osservatorio Waste Watcher International, sono 5,2 milioni le tonnellate di cibo finite nella spazzatura, tra le mura domestiche e lungo tutta la filiera. Questo significa 9,7 miliardi di euro: 6 miliardi e 403 milioni di spreco alimentare nelle case italiane e oltre 3,2 miliardi di perdite sui campi, nel commercio e nella distribuzione. In Italia, sono diminuiti complessivamente del 7% anche gli imballaggi finiti al riciclo.

 

I numeri del Conai - il Consorzio nazionale, che indirizza l’attività e garantisce i risultati di recupero di sei consorzi dei materiali (acciaio, alluminio, carta/cartone, legno, plastica e vetro) – stimano che nel 2020 siano state riciclate 9 milioni di tonnellate di imballaggi e le previsioni per il 2021 dicono che si possa arrivare a 9 milioni e mezzo. Al netto dei rifiuti industriali che rappresentano la fetta più grossa della raccolta, quelli domestici e della ristorazione sono diminuiti e non solo per effetto del Covid-19 (chiusura del canale horeca).

 

A confermare una disponibilità maggiore degli italiani al riciclo ci sono i dati, diffusi ancora da Conai con l’Osservatorio Waste Watcher International, secondo i quali l’imballaggio e le sue caratteristiche ambientali sono elementi che condizionano le scelte di acquisto dei consumatori (per il 73% dei rispondenti). Per il 71% il prodotto è sostenibile, innanzitutto, se il suo imballaggio è riciclabile o se è realizzato con materiale riciclato (69%). Se la confezione non è riciclabile 1 italiano su 4 (25%) lo acquista lo stesso; il 47% lo acquista, ma mal volentieri; il 22% cambia idea e si orienta su un prodotto con imballaggio riciclato o riciclabile e un italiano su venti oltre a non acquistarlo ne sconsiglia anche l’utilizzo ad amici e familiari.