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E così i monaci calabresi diventarono maestri birrai a Monaco di Baviera

E così i monaci calabresi diventarono maestri birrai a Monaco di Baviera
La storia della Paulaner ha origine nel 1629, quando dei frati dell'Ordine di San Francesco di Paola arrivarono in Germania, rivoluzionando ogni cosa con il loro "pane liquido"
2 minuti di lettura

Padre Antonio Casciaro, frate del monastero di Paola, provincia di Cosenza, si guarda attorno nel nuovo birrificio alle porte di Monaco di Baviera. "Attenzione, quel robot sta venendo verso di lei", gli urlano: tutto è automatizzato nella catena di produzione della Paulaner, anche i muletti viaggiano senza guidatore; per produrre circa un milione di litri di birra al giorno (il 9% dei quali esportati in Italia) bastano 30 operai per turno, esclusi naturalmente birrai e mastri birrai.

Padre Antonio Casciaro. (Foto Nicola Baroni)
Padre Antonio Casciaro. (Foto Nicola Baroni) 

"E pensare che tutto è iniziato con San Francesco di Paola e con una manciata di frati calabresi", sospira tra il soddisfatto e l’incredulo padre Antonio. Già, perché sebbene la birra sia stata a lungo associata all’Europa riformata e disdegnata dagli enofili abitanti della nostra Penisola, uno dei sei marchi storici di Monaco affonda le radici nell’inventiva e nelle regole di vita dell’Ordine del Santo di Paola, di cui quest’anno ricorre il cinquecentenario della santificazione. Era il primo maggio 1519 quando il patrono della Calabria e della gente di mare fu proclamato santo e centodieci anni dopo i suoi frati entravano nel monastero Neudeck ob der Au di Monaco e qui cominciavano a produrre una birra corposa, ad alto grado alcolico: un “pane liquido” che li aiutasse ad affrontare i digiuni.
Padre Casciaro durante la visita alla birreria Nockherberg. (Foto di Frank Achim Schmidt)
Padre Casciaro durante la visita alla birreria Nockherberg. (Foto di Frank Achim Schmidt) 
Ai tradizionali voti di povertà, castità e obbedienza, San Francesco aveva infatti aggiunto un quarto voto, quello di Quaresima permanente: in altre parole, divieto di mangiare carne tutto l’anno. Questa birra fu apprezzata anche fuori dalle mura del convento tanto che, cinque anni dopo, i birrai della città, che detenevano il diritto esclusivo di birrificazione, chiesero per iscritto al borgomastro di bloccare quella concorrenza sleale da parte dei monaci di Paola. Con l’unico risultato che nel 1660 venne concesso ufficialmente anche a questi “paulaner” il diritto di birrificare.

Oggi nel periodo di Quaresima alla birreria Nockherberg si festeggia lo Starkbier, una sorta di mini-Oktoberfest in cui più di quattromila persone ogni sera, per tre settimane, cantano e ballano sui tavoli bevendo la Salvator, una doppio malto a bassa fermentazione prodotta solo per l’occasione, che si rifà all’antica ricetta dei monaci. A più di mille chilometri di distanza, nel monastero di Paola, i frati vivono la Quaresima nella quiete e nella preghiera, ma sanno che li attendono festeggiamenti che per partecipazione popolare e devozione nulla hanno da invidiare a quelli bavaresi. Dal primo al 4 maggio, infatti, ogni anno arrivano in paese decine di migliaia di fedeli, calabresi e non, per omaggiare San Francesco e partecipare ai riti civili e religiosi: accensione della lampada votiva, navigazione delle reliquie, processione del santo e consegna alla statua delle chiavi della città. Quest’anno tra i fedeli ci sarà anche una delegazione dal birrificio tedesco, che porterà in dono una birra speciale prodotta per il cinquecentenario e ribattezzata “Paolaner”.
Una serie di boccali "privati" conservati alla birreria Nockherberg. (Foto Nicola Baroni)
Una serie di boccali "privati" conservati alla birreria Nockherberg. (Foto Nicola Baroni) 

Il monastero bavarese è andato distrutto, mentre a Paola a causa della crisi vocazionale sono rimasti dieci frati. Tutt’oggi osservano la Quaresima permanente, ma non rinunciano alla birra: "La si beve per tradizione ogni giovedì con la pizza", racconta padre Antonio. "Come sarebbe a dire?", i monacensi guardano il monaco quasi indignati: "La pizza è l’unico piatto che noi accompagniamo con il vino". E in questo caso i mille chilometri di distanza si sentono tutti.