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Quando il festival di Sanremo si ascoltava tra un bicchiere di vino e una tartina

Il Salone delle feste del Casinò di Sanremo durante la seconda edizione del festival, nel 1952 (@foto dell'Archivio Moreschi)
Il Salone delle feste del Casinò di Sanremo durante la seconda edizione del festival, nel 1952 (@foto dell'Archivio Moreschi) 
Dal 1951 al 1976 la manifestazione si tenne al Casinò e nelle prime due edizioni, radiofoniche, il pubblico assisteva dal Salone delle feste, una sorta di café chantant. I cantanti? Mangiavano tutti insieme nei ristoranti degli alberghi
3 minuti di lettura

«Miei cari amici vicini e lontani, buonasera, ovunque voi siate». Basta una frase, questa, per ricreare l’atmosfera - vera o diventata tale a furia di ricostruirla - di quei lontani Festival di Sanremo dell’Italia del Dopoguerra. 

Salone delle feste del Casinò di Sanremo, dove la manifestazione si tiene dall’esordio del 1951 fino al 1976, per poi spostarsi all’Ariston: sul palco si alternano pochi cantanti che interpretano decine di canzoni e nelle prime due edizioni la sala assomiglia a un café chantant in cui sono disposti tavolini con piattini, calici e vasi di rose e garofani (che torneranno utili per un mazzo di fortuna con cui omaggiare la vincitrice Nilla Pizzi). Il pubblico, soprattutto la prima sera, il 29 gennaio 1951, è scarso. «Saranno state sì e no 200 persone» calcolerà ricordando la delusione di allora Nunzio Filogamo, re dei presentatori e timoniere di quei festival solo radiofonici (Sanremo sbarca in tv nel 1955). Così poche che parte del pubblico viene raccattata all’ultimo per strada - racconta il libro Festival Memorabilia di Bruno Monticone, ex giornalista della redazione sanremese de La Stampa -. E con difficoltà nonostante l’invito improvvisato fosse gratis (il biglietto invece costava 500 lire, e già 4.000 lire nel 1952). 

 

Ma se in strada non è facile reperire pubblico la prima sera, perché quasi nessuno crede in quel festival (ma la situazione cambierà rapidamente grazie al boom di pubblico, turisti e dischi venduti) anche in sala l’atmosfera appare distratta. «Quel pubblico definito troppo distaccato, che non immaginava di assistere alla nascita di un fenomeno di costume nazionale, inconsapevolmente ha fatto la storia» osserva Monticone. 

 

L’immagine arrivata fino a oggi è quella di un «pubblico seduto al tavolo, servito dai camerieri del casinò - ricostruisce Festival Memorabilia - mentre i cantanti si esibivano e la radio diffondeva le loro canzoni in tutta Italia. Non proprio una cena, piuttosto pare un elegante dopocena con champagne, un assaggio di spaghetti, tartine, pasticcini». «Lo spettacolo cominciava alle 10 di sera - ricorderà in un’intervista Nilla Pizzi, vincitrice della prima edizione con Grazie dei fior - il pubblico aveva già cenato e non, come scrissero alcuni malevoli, si mise a cenare mentre noi cantavamo. Anzi, ho avuto l’impressione che la gente seguisse con attenzione. Era un festival semplice, quasi naturale, senza tensioni». 

Lucio Battisti a Sanremo (@foto dell'Archivio Moreschi)
Lucio Battisti a Sanremo (@foto dell'Archivio Moreschi) 
I ricordi si sovrappongono, non sempre combaciano. Lo stesso Filogamo dirà che ricordava un pubblico a cena e una certa distrazione, che lo porta a pronunciare la famosa frase sugli “amici vicini e lontani” forse per richiamare l’attenzione. Quando? I più concordano che sia durante la seconda edizione, nel 1952. «La gente era abituata ad ascoltare l’orchestrina e a ballare, normale che ci fosse del chiacchiericcio ai tavolini, che dopo due edizioni vennero sostituiti dalle classiche poltroncine di platea» ricorda Alfredo Moreschi, fotografo che al festival approda nel 1955 e vi rimane a lungo.

 

Il festival nasce - soprattutto grazie ad Amilcare Rambaldi, che sarà anche l’ideatore del Club Tenco - per attirare clienti per la casa da gioco e turisti in una Sanremo che scommette con varie formule sul rilancio e che nel 1950 organizza, sempre al casinò, la prima e unica edizione del Festival internazionale della gastronomia con ospiti chef di alberghi e ristoranti di tutta Europa. L’anno dopo arriva il Festival della canzone che per molti anni, come ricorda Nilla Pizzi, nonostante l’enorme successo che riempie pullman di fan e fa vendere dischi, rimane «semplice, quasi naturale, senza tensioni». 

Il duo Fasano, Carla Boni, Claudio Villa e Tonina Torrielli a pranzo al ristorante dell'Hotel Londra di Sanremo nel 1958 (@foto dell'Archivio Moreschi)
Il duo Fasano, Carla Boni, Claudio Villa e Tonina Torrielli a pranzo al ristorante dell'Hotel Londra di Sanremo nel 1958 (@foto dell'Archivio Moreschi) 
E la dimostrazione si ha anche a tavola e nei decenni successivi all’esordio. «Negli Anni 60 c’era ancora un’aria quasi parrocchiale - osserva Bruno Gambarotta, all’epoca cameraman per la Rai -. Si poteva assistere alle prove, non c’era la blindatura di oggi. Noi mangiavamo alla mensa dei croupier, e bene». «I cantanti - spiega Claudio Porchia, giornalista e autore del libro Sanremo Story. Gli anni in bianco e nero del Festival della canzone italiana al casinò - mangiavano negli alberghi in cui soggiornavano, il Londra, il Savoy, il Royal. E soprattutto in grandi tavolate tutti insieme, con anche mogli e mariti. Non c’era rivalità».

 

Il menu? Semplice. «Negli Anni 50 - continua Porchia - è forte l’influsso francese del potage, la minestra, ma abbondano anche le pastasciutte. La carne è un lusso ma comincia a fare capolino, soprattutto con il pollo. Poi con gli anni arriva il salmone e si fanno strada i piatti liguri, che anche artisti e turisti iniziano a conoscere, come il pesto, il gambero rosso, la sardenaira, a cui nel 1960 si dedica una sagra». 

Milva all'Osteria del pescatore di Sanremo (@foto dell'Archivio Moreschi)
Milva all'Osteria del pescatore di Sanremo (@foto dell'Archivio Moreschi) 
Menu molto diversi da quelli di oggi, basta pensare che per una cena di gala del 1955 al Casino di Sanremo la carta prevede come primo Riso, piselli e punte d’asparagi in brodo, come secondo trota del Roya con salsa riviera e pollo di Val d’Arno arrosto con primizie, cassata siciliana e ovis mollis per dolce. Il modello è l’osteria (Milva frequenta quella del Pescatore, ad esempio), non il ristorante, anche ben più in là negli anni, quando arrivano i Settanta e si comincia a frequentare piazza Bresca con i suoi locali. «Iniziano a nascere anche i piatti in omaggio ai cantanti - osserva Porchia -, il Savoy dedica gli involtini di verza a Bobby Solo, mentre Celentano va pazzo per i carciofi ripieni e i Ricchi e Poveri per le lenticchie».