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Dal cinema alla terra: Le Crede, l'azienda agricola che si oppone all'autostrada

Dal cinema alla terra: Le Crede, l'azienda agricola che si oppone all'autostrada
Due Millenial altamente qualificati che scelgono di cambiare tutto e andare in campagna, a Portoguaro. Producono vino anche come atto di resistenza agli espropri e all'allargamento della A4
3 minuti di lettura

Quando si sfreccia sulle strade ad alto scorrimento del nostro Paese spesso cade l'occhio su distese di campi, vigneti e coltivazioni di vario genere che affiancano le autostrade e prosperano come nulla fosse. Nei pressi dell'uscita di Portogruaro della A4, la direttrice che collega Torino a Trieste, si intravede una vecchia casa colonica di inizio Novecento abbracciata da una vigna. Sul davanti la zona dell’aia, fondamentale in campagna per svolgere compiti agricoli e insieme sociali. “Non ci vedrete più quando finalmente arriverà la barriera fonoassorbente e l'alberatura prevista con il nuovo allargamento” spiega Cecilia Irene Massaggia, che insieme al compagno Filippo Baracchi, gestisce l'azienda agricola Le Crede. Sono due “Millennial prestati all’agricoltura”, come recita il sottotitolo del loro libro appena uscito “Maledetta Zappa” (ed. Altreconomia).

Non è un inno alla faticosa e semplice vita agreste, né un affresco idilliaco del lavoro nei campi, ma un racconto lucido di due cosiddetti creativi – entrambi registi, Cecilia è anche coordinatrice di produzione, Filippo critico cinematografico – che un giorno del 2017 decidono di aprire una partita Iva agricola, iscriversi a un corso della Coldiretti locale e lasciare la città per questo angolo del Veneto a pochi chilometri dal Friuli. Una zona di confine, dove i dialetti si miscelano, così come i sapori, per cui si sulle insegne delle trattorie si trovano risi e bisi ma anche il frico friulano.

“È stata una congiuntura di eventi” spiega Filippo, “da una parte stavamo soffrendo dei ritmi della nostra vita a Milano e Roma, dall'altra era arrivata la notifica dell’allargamento dell'autostrada e stava scadendo il contratto di affitto della proprietà, che appartiene alla mia famiglia da oltre sessant'anni”. Aggiunge Cecilia: “Non potevamo certo proteggere questo posto dall’ennesima corsia autostradale, ma potevamo salvarlo dall’abbandono”. Cecilia e Filippo non discendono da dinastie agricole, anzi, a parte una certa propensione personale per la natura non hanno romantici aneddoti da raccontare su un’infanzia bucolica. I nonni di Filippo emigrarono da qui verso Milano per lavorare, ma acquistarono la proprietà nel 1959 perché, dopo aver visto la guerra e la fame, sembrava una buona idea tenere da parte un terreno coltivabile per la famiglia.

Le Crede significa “creta, argilla” e si riferisce alla composizione del terreno, particolarmente adatto per l’uva. Nel 1971 un primo esproprio ha portato alla costruzione dell'autostrada A4, un terremoto che ha cambiato volto all'intera zona. “Una volta l'area era costellata di vitigni, che poi sono spariti anche a causa di politiche che finanziavano il loro estirpo a favore di altre coltivazioni”, racconta Filippo, “oggi produciamo quattromila bottiglie di Merlot da un vigneto che corre lungo la casa, mentre due anni fa abbiamo piantato delle uve Glera per farne un bianco appena saranno pronte”.

Il libro rivela la competenza cinematografica dei due autori ed è costellato di metafore e riferimenti, come la ricerca dell’enologo perfetto, spiega Cecilia: “L’enologo per il vignaiolo è come il direttore della fotografia per un film. Grazie alla sua tecnica cerca di ridare l'emozione di una scena come descritta dal regista. Noi volevamo un vino corposo, morbido, che incontrasse i gusti delle persone, e l'enologo, dopo un'analisi dell'uva vendemmiata, ha detto che era possibile”. Trovata anche la cantina pronta a vinificare per conto loro, a soli 12 chilometri di distanza, e dopo l'affinamento in barrique, sono arrivate le prime bottiglie. Come due neo genitori innamorati del primo figlio Cecilia e Filippo hanno iscritto il loro Merlot a qualche concorso enologico per avere un parere neutrale e il riscontro è stato più che positivo, raccontano con orgoglio: “Per noi era caldo, rustico, famigliare. È stato interessante ascoltare i sentori che percepivano i professionisti, dai frutti di bosco ai chiodi di garofano”. Certo, non sono mancati i classici incidenti del principiante, inclusa una tendinite di Cecilia che ha usato le forbici sbagliate per la potatura o quegli attimi di panico quando si doveva scegliere in fretta tra decine di tappi disponibili, tutti simili eppure tutti così diversi.

Il racconto di “Maledetta Zappa" fa anche riflettere sul consumo del suolo nel nostro Paese che non accenna a fermarsi e sul patrimonio dei terreni agricoli italiani (valore ben noto ai nonni di Filippo). Infatti, dopo l'arrivo a Le Crede, i due neo contadini hanno deciso di ridare vita alla proprietà piantando oltre duemila piante, incluso un boschetto di pioppi, in una visione di sostenibilità lontana dal modello di agricoltura industrializzata. Dall'altra uno degli obiettivi del libro è illuminare il complesso rapporto della generazione Millennial con il mondo del lavoro, non senza una certa ironia: “All’inizio nessuno ci prendeva sul serio come agricoltori, ma questo accadeva anche prima. ‘Bello il cinema, ma cosa fai di lavoro?’ mi chiedevano una volta”, ride Cecilia, “’Bello il vino, ma come ti mantieni?’ Mi chiedono oggi”. In realtà i due non hanno abbandono il grande amore per i film e stanno girando un documentario che racconterà la vita nella proprietà e questo loro piccolo grande atto di resistenza verso la nemica-amica autostrada A4. Uscita Portogruaro, seguire direzione Le Crede: presto apriranno anche un agriturismo, a colazione si potrà dissertare della genialità di Ingmar Bergman o delle migliori ricette per conserve fatte in casa.