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I pesci sono come il maiale, non si butta via niente

I pesci sono come il maiale, non si butta via niente
Oltre all'uso gastronomico, ecco il progetto del Crea per l’utilizzo degli scarti della filiera ittica: soluzioni tecnologiche green per l’estrazione di Omega 3, vitamina E ed altre molecole da visceri, testa, pelle e lisca
2 minuti di lettura

Pesci come il maiale, non si butta via niente. Riecheggia in versione ittica il vecchio detto popolare nel progetto che il Crea- Alimenti ha appena concluso per l’utilizzo degli scarti della filiera del pesce. Probis (processi biotecnologici innovativi e sostenibili), estrarrà così Omega 3, vitamina E ed altre molecole, da visceri, testa, pelle e lisca da reimpiegare in svariati settori, dall’alimentazione alla nutraceutica fino alla cosmesi, utilizzando tecnologie green.

 

Dal reimpiego dei residui del pescato si possono ricavare molecole naturali che troveranno un loro riutilizzo in innumerevoli prodotti, dagli integratori alimentari ai preparati di erboristeria, dagli alimenti trasformati come i cereali e le zuppe ad alcuni tipi di bevande. “Per produrre un filetto di orata viene utilizzato non più del 45% del pescato. Tutto il resto diventa scarto, buttando letteralmente a mare parti del pesce dalle quali invece si possono estrarre elementi di grande importanza in molti settori produttivi”, spiega a Il Gusto Ginevra Lombardi-Boccia, coordinatrice del progetto.

“Buttiamo via cioè acidi grassi Omega 3, di cui c’è enorme richiesta, vitamina E, squalene, una molecola che ci difende dalle malattie cardiovascolari e molto utilizzata nell’industria cosmetica per le sue capacità idratanti e di protezione da raggi solari e molto altro”, aggiunge. Il recupero dei nutrienti tra l’altro avviene in maniera del tutto sostenibile: con i processi messi a punto dal progetto finanziato dalla Regione Lazio, infatti, si mandano in pensione i solventi organici, i cui residui sono potenzialmente tossici e si punta su tecnologie green basate esclusivamente su trattamenti enzimatici. “Un modo per salvaguardare ambiente e salute allo stesso tempo, in una logica di sostenibilità economica che favorisca anche la sicurezza alimentare”, dettaglia ancora Lombardi-Boccia.

 

Quello del recupero degli scarti con tecnologie rispettose dell’ambiente è comunque un concetto versatile e può essere applicato con risultati significativi anche in altri settori. Dai petali dei fiori, ad esempio, si ricavano coloranti completamente naturali da utilizzare nel settore alimentare, escludendo sostanze tossiche se non cancerogene. Da qualsiasi filiera agroalimentare si possono recuperare gli scarti, creando nuove opportunità economiche. “La corretta gestione dei rifiuti –sottolinea Lombardi-Boccia- ha in sé un grande potenziale nella logica dell’economia circolare, dato che è in grado di promuovere lo sviluppo di filiere innovative, creando nuove opportunità di mercato”.

Puntare sul recupero di molecole che una volta estratte possono essere riutilizzate senza generare nuovi scarti, significa, dunque, anche mettere a disposizione delle aziende di diversi settori produttivi una soluzione economicamente vantaggiosa per arrivare sostanzialmente ad una produzione a scarto zero. E infatti, sottolinea ancora Lombardi-Boccia, “a livello internazionale si stanno muovendo un po’ tutti in questa direzione”. Ma ora, sollecita, “la parola passa alle imprese e alla politica. La ricerca ha fatto e continuerà a fare la sua parte”.

 

Contrastare lo spreco alimentare d’altra parte è diventato un imperativo categorico: ogni anno in Italia, nonostante il nostro Paese, secondo il Food Sustainability Index, sia in prima linea nella lotta contro un malcostume purtroppo diffuso, viene sprecato cibo per oltre 5 milioni di tonnellate, quasi 85 chilogrammi a testa, pari al 15,4% dei consumi alimentari totali con un costo di 12,6 miliardi di euro e oltre 24,5 milioni di tonnellate di carbonio emesse. In Europa lo spreco tocca i 90 milioni di tonnellate, 180 chilogrammi a persona ogni anno. A livello mondiale, secondo i dati Fao, i numeri sono ancora più inquietanti: ogni anno il 17% degli alimenti prodotti, (931 milioni di tonnellate), viene gettato nella spazzatura, con un costo di mille miliardi di dollari l’anno. Una quantità enorme di cibo che potrebbe sfamare 200 milioni di persone.

 

Il problema, naturalmente, riguarda anche il settore ittico se si pensa che, secondo i dati forniti dal programma nazionale triennale del Mipaaf della pesca e dell’acquacoltura, il volume dei prodotti della pesca sbarcati dalla flotta italiana è pari a poco più di 130 mila tonnellate, per un valore economico di 642,45 milioni di euro. E le alici, una delle specie prese in considerazione dallo studio del Crea insieme alle orate, occupano un posto rilevante con quasi 24 mila tonnellate di pescato, equivalenti al 18,3% della produzione complessiva.