I tesori millenari conservati sulla Rupe di tufo e le specialità che prendono forma nelle campagne che la circondano. E poi l'arte e gli artigiani, i palazzi e le chiese, su tutte il duomo. Ancora, le meraviglie sotterranee e le imperdibili destinazioni della tavola. Sono i protagonisti di “Orvieto e il regno degli Etruschi”, volume con il quale le Guide di Repubblica si concentrano sulla città umbra, da poco candidata ufficialmente a Capitale della Cultura 2025.
Dici Orvieto, pensi vino. Giusto. La Doc, all’ombra della Rupe, ha mezzo secolo: il riconoscimento risale al 1971, 30 anni dopo la definizione dell’area di produzione. Orvieto, Allerona, Alviano, Baschi, Castel Giorgio, Castel Viscardo, Fabro, Ficulle, Guardea, Montecchio, Montegabbione, Monteleone d'Orvieto, Porano per arrivare poi a Bagnoregio, Castiglione in Teverina,Civitella d’Agliano, Graffignano e Lubriano sono i territori in cui si può produrre Orvieto bianco Doc. Ristretta a Orvieto e alla Valle del Paglia la sottozona dell’Orvieto Classico. La denominazione di “Superiore” è per vini prodotti a partire dalla vendemmia del 1997. Il riconoscimento per il Rosso Doc Orvietano è del 1998. Il Consorzio Vini di Orvieto del presidente Vincenzo Cecci, nato con altro nome al riconoscimento della Doc, coordina la quasi totalità della produzione: circa 12 milioni di bottiglie ogni anno, ovvero il frutto del lavoro di 33 cantine. Il comitato scientifico è presieduto da Riccardo Cotarella. Il vino a Orvieto si produce da sempre. Lo dicono i ritrovamenti archeologici, i cunicoli sotterranei utilizzati per far maturare le uve, lo raccontano, per esempio, gli affreschi provenienti dalla tomba etrusca Golini I e conservati al museo archeologico nazionale di piazza Duomo. Nel dipinto è ritratto un giovane intento a spremere un grappolo d’uva, per farne vino.

Ma i reperti storici raccontano anche un’altra vocazione di questo territorio. Conosciuto come una delle capitali del vino bianco, è anche storicamente terra di olio. Quello che ora rientra nella Dop “Umbria” a cui si aggiunge la denominazione di provenienza “Colli orvietani”. Una produzione già praticata da etruschi e romani e ancora successivamente. Basti pensare al mulino di Santa Cristina, un frantoio rinascimentale che è parte del patrimonio di Orvieto Underground. Ma a Orvieto c'è spazio anche per la birra, quella del Birrificio Alfina, giovane realtà capace di ritagliarsi il suo spazio in pochi anni di vita, grazie alle sue Belgian Blonde Ale, una American Amber Ale e una Blanche. Altrettanto connotati territorialmente, il liquore Andromaco, il Visner orvietano, vino officinale con visciole e 4 erbe, e l’amaro Orvietano.

Orvieto è anche terra di sapori e di eccellenze da gustare. A partire dai tipici Fagioli secondi del Piano, inseriti nel registro regionale della biodiversità. Fiorangelo Silvestri è presidente dell'associazione dei produttori di cui fanno parte Renzo Rossi e Costantino Pacioni. Chiamato anche l’oro bianco di Orvieto, deve il suo nome al fatto che è il frutto di una semina tardiva, appunto “seconda” tra giugno e luglio a cui corrisponde la raccolta ad ottobre. La zona prediletta per la coltivazione è quella di pianura lungo il fiume Paglia.


Ortaggi e frutti di varietà antiche locali si possono trovare alla fattoria Il Secondo Altopiano di Sugano di Orvieto dove vengono allevate anche capre da latte per la produzione di formaggi. A Ciconia, dai Fratelli Graziani si possono trovare lenticchie, ceci, fagioli, miele, olio, farine, paté e ragù di Chianina. Orvieto è anche terra di tartufi, in particolare il bianco. Chi si trovasse a visitare la città, però, oltre a fare una ricca spesa (vale una fermata l’enoteca La Loggia) non può esimersi da provare le lumachelle, prodotto tipico, nato come cibo da tasca e ancora oggi spuntino prediletto dagli orvietani. Si tratta di pagnotte fatte con un impasto simile a quello del pane e impreziosite da pecorino, strutto, pancetta o prosciutto, e arrotolato per creare una chiocciola. E poi, perché no, accomodarsi a un tavolo per scoprire i piatti della tradizione.

Come il “baffo” di guanciale, per esempio, del Duca di Orvieto. La chef Adler Bonavera è molto legata anche agli umbrichelli, fatti a mano, al vino. Tipiche le ricette, tipico il locale che ospita le Grotte del Funaro. Il ristorante è all'interno di una grotta scavata nel tufo. È dedicata al territorio, ma con qualche contaminazione, la cucina di Invivium dell’Altarocca Wine Resort, mentre i Sette Consoli è un indirizzo storico del centro di Orvieto, dove trovare materia prima locale, creatività e cura del dettaglio.


La Guida di Repubblica “Orvieto e il regno degli Etruschi”, realizzata in collaborazione con il Gal Trasimeno-Orvietano, è disponibile in edicola (12 euro più il prezzo del quotidiano) e online sul nostro sito Ilmioabbonamento.it, in libreria e online su Amazon e Ibs