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La Burrata di Andria, tesoro pugliese nato da una tempesta di neve

La Burrata di Andria, tesoro pugliese nato da una tempesta di neve
A quasi un secolo dalla sua invenzione da parte del casaro Lorenzo Bianchino, è ancora una delle espressioni gastronomiche più importanti della regione
4 minuti di lettura

C'è sempre un mito fondativo dietro una realtà celebre. Abramo fondatore di Israele, Teseo con Atene, Enea prima e Romolo poi, per la fondazione di Roma, e così via. La Burrata di Andria non è una città, certo, ma quella città la rappresenta quasi quanto il celebre Castel del Monte di federiciana memoria. E come una città, all'origine della sua nascita c'è una storia in bilico tra leggenda e realtà, che comincia negli anni 30 del secolo scorso, con una forte nevicata. A causa di questa il casaro andriese Lorenzo Bianchino (esperto nell’arte della manteca, ossia l’arte di conservare il burro nella pasta di scamorza) era impossibilitato nel portare il latte dalle pendici di Castel del Monte alla città di Andria, e dovette trasformare la materia prima  per non sprecarla.

 

Così, utilizzando le stesse tecniche usate per la lavorazione della manteca, creò un sacchetto fatto di pasta filata (la stessa utilizzata anche per la mozzarella) e lo riempì con degli sfilacci della stessa pasta immersi nella panna che naturalmente affiorava dal latte. Infine, racchiuse il tutto donando al prodotto una caratteristica chiusura apicale. Nasceva così la prima Burrata di Andria, che a distanza di quasi un secolo, continua a rappresentare una delle espressioni gastronomiche più apprezzate della terra pugliese, simbolo di quel saper fare artigianale capace di partorire un'eccellenza da un problema. Problem solving ante litteram, se vogliamo. 

 

Un'accortezza, però: “La vera Burrata (la B maiuscola è d’obbligo in quanto trattasi di formaggio specifico e non generico) è esclusivamente quella di Andria, oggi riconosciuta con l’indicazione geografica protetta IGP, dotata dunque di un disciplinare di produzione che definisce la qualità delle materie prime e le caratteristiche organolettiche, le modalità di produzione nel rispetto della tradizione casearia andriese e prevede la completa tracciabilità a garanzia dei consumatori sull’origine e sulla qualità del prodotto”, come spiega Francesco Mennea, direttore del Consorzio di tutela della Burrata di Andria IGP. Una realtà costituita nel 2017 per valorizzare e promuovere questo prodotto caseario, ma anche per proteggerlo e differenziarlo dalle tante imitazioni che nel tempo sono nate sia all’estero che in patria (dalle simil burrate pugliesi prodotte in Emilia, fino a quelle catalane, colombiane, statunitensi,  lituane e così via).

Dunque, quando si parla di Burrata Igp,  si parla di un formaggio fresco specifico e non di una preparazione gastronomica, come spesso si vede in tavole (anche pugliesi) con scenografiche “burrate” ripiene di orecchiette al sugo. Del Consorzio fanno parte 14 aziende di piccole, medi e grandi dimensioni (l’elenco completo è sul sito del Consorzio): l’area di produzione è l’intera Puglia (quindi non solo Andria) ma per avere il riconoscimento IGP la produzione deve seguire rigorosamente le fasi previste dal disciplinare. 

 


 
Come si prepara la burrata?

Gli ingredienti previsti dal disciplinare di produzione sono: latte, fermenti (o siero innesto o acidi alimentari citrico o lattico), caglio e panna. Il resto lo fa l'artigianalità della lavorazione e la bravura del mastro casaro. Partendo da un latte di qualità, attraverso la sua acidificazione e successiva coagulazione si giunge alla cagliata, il coagulo alla base di tutti i formaggi. Questa viene poi ridotta in piccoli grumi della dimensione di una nocciola e, aggiungendo acqua bollente, si inizia la lavorazione della pasta. Grazie all’alta temperatura dell’acqua (circa 85/90°) la pasta comincia a filare, e viene poi salata e lavorata per raggiungere il grado di elasticità voluto dal mastro casaro; a questo punto si realizza una “fettuccia” (una sfoglia di pasta spessa qualche millimetro) che verrà “sfilacciata” e rotta manualmente, ottenendo dei sottili filamenti detti “lucini”. Questi, aggiunti alla crema di latte, costituiranno il ripieno della Burrata, ossia la “stracciatella”. Dalla stessa pasta filata lavorata si andrà a formare l'involucro esterno (“il sacchetto”) dello spessore di circa 2 millimetri che verrà riempito con la stracciatella e poi richiuso all’apice, saldato con acqua bollente o chiuso con steli di rafia alimentare, ed immerso in acqua fredda per rassodare.


Le curiosità.

Non tutti sanno che quando fu inventata la Burrata di Andria, il “sacchetto” veniva soffiato a bocca, praticamente gonfiato come un palloncino, ma oggi tale operazione non è più possibile per ovvie ragioni sanitarie ed il sacchetto viene realizzato a mano o con l’uso di riempitrici ad aria. Inoltre, in passato il prodotto veniva avvolto con foglie di asfodelo, tipica pianta della Murgia, e sempre per il rispetto dei regolamenti sanitari questo  tipo di confezionamento non è più possibile, pertanto nel confezionamento si utilizzano foglie finte di asfodelo in ricordo di questa antica tradizione.

 



Le ricette degli chef.

Non solo Puglia, anzi: la Burrata di Andria ha varcato i confini regionali per entrare sempre di più nelle cucine italiane e internazionali. Utilizzata tanto nei ristoranti tradizionali quanto in quelli gourmet, è continuo oggetto omaggi, declinazioni particolari o semplicemente ingrediente utile a conferire quei tipici sentori di lattico fresco, crema e burro, a ricette complesse. Solo per fare qualche esempio celebre, da Nord a Sud dello Stivale: Antonio Guida, tricasino doc e pugliese nel cuore, nonché bistellato al Seta dell'Hotel Mandarin di Milano, con le sue Lumache, crema di erbe, burrata e fiori di zucchina; Heinz Beck con il Saccottino di burrata con pesto di erbe e fragranza di lemon balm (lo chef tedesco nella sua esperienza inglese - conclusa - al Beck at Brown's  proponeva anche l'antipasto  a base di Burrata di Andria IGP con zucchine fritte in carpione); Raffaele Ros del ristorante San Martino a Scorzé (Venezia), tra le cucine di mare più interessanti della provincia veneziana, con le sue Capesante tostate al burro di cacao su letto di carciofi, pralina di Burrata; e poi Tony Lo Coco del ristorante I Pupi di Bagheria con il suo Ricordo di Anelletti al forno riempiti con burrata e un ragù di tonno ccuinato come quello di carne, con alloro e noce moscata. Andando fuori patria, si approda a SoHo, nel cuore di Manhattan dove chef Philip Guardione ha conquistato non pochi palati  con i Fusilli, Burrata e scampi nel sui ristorante Piccola Cucina. 

 

La versione di Pietro 


Non si può concludere però senza un omaggio alla Burrata di Andria da parte di uno chef che all'ombra del Castel del Monte da anni porta in alto la cucina pugliese. Pietro Zito, il cuoco contadino, nel corso della sua lunga carriera con il ristorante Antichi Sapori ha spesso utilizzato in cucina questo prodotto caseario. Ecco la sua ricette delle Orecchiette con favetta, olive dolci nere e burrata di Andria.


Ingredienti (per 4 persone): 

g. 300 di orecchiette, g. 500 di fave secche, g. 300 di olive nere dolci, g. 100 di burra- tina di Andria, g. 40 di pomodorini, olio, sale, pepe e aglio q.b., alloro in foglie, g. 50 di sedano, g. 50 di carota, g. 50 di cipolla.


Procedimento:

Cuocere in un tegame le fave secche sgusciate (lasciate a mollo il giorno prima) con gli aromi sopra elencati. Quando le fave si saranno cotte, eliminare tutti gli aromi e frullarle al mixer con olio extravergine d’oliva formando una crema, detta appunto favetta, che terremo in caldo. A parte, in una pentola con abbondante acqua salata, cuocere le orecchiette per circa 5 minuti, scolarle e saltarle in padella con la favetta aggiustando di sale e pepe. Servire le orecchiette aggiungendo le olive nere dolci denocciolate e saltate anch’esse precedentemente in padella e burrata di Andria tagliata a pezzi. Servire con abbondante olio extravergine novello e amalgamare il tutto.