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Da cibo dei poveri a ingrediente gourmet: così la castagna ha conquistato gli chef

Era un cibo di riserva ora viene rilanciato dalla comunità di Slow Food. Dai boschi alle cucine degli stellati: ed Enrico Crippa rivisita il classico Montebianco
2 minuti di lettura

Per secoli le castagne sono state il cibo dei poveri, quello che permetteva a chi viveva in montagna di sopravvivere. Poi da un lato lo spopolamento delle “terre alte” con l’urbanizzazione di massa e dall’altro in anni più recenti la diffusione della vespa delle castagne (il nome scientifico è cinipede galligeno), un insetto che distruggeva foglie e piante, sembravano aver messo in ginocchio la produzione di questo frutto simbolo dell’autunno.

Oggi le cose stanno cambiando e la conferma si ha in questi giorni a Terra Madre Salone del Gusto di Torino: la kermesse di Slow Food vede infatti la castagna tornare in primo piano, con la presentazione della rete dei castanicoltori. «La rete – spiega Federico Varazi, vicepresidente di Slow Food Italia – coinvolge da alcuni anni realtà diverse in tutta la Penisola, dal Piemonte alla Calabria, si va dai presidi ai comitati regionali, dai ristoratori alle nostre condotte. Cerchiamo di rilanciare antiche pratiche per dare un futuro a una coltivazione come quella della castagna che fa parte del nostro paesaggio e che può aiutarci a salvarlo».

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Ne è la dimostrazione la nascita di un presidio Slow Food, quello della Mosciarella delle casette di Capranica Prenestina, una castagna essiccata tipica dell’Appennino laziale. «Nel nostro territorio – ricorda Rosaria Olevano, referente del presidio – i boschi di castagni erano una realtà importante, tanto che c’erano più di un’ottantina di casette, i luoghi dove avveniva l’essiccatura delle castagne oggi quasi del tutto scomparsi. Grazie anche alla collaborazione con il museo naturalistico dei Monti Prenestini siamo partiti con un progetto di recupero dei castagneti abbandonati e abbiamo rimesso in funzione alcune casette. Una pratica ancora più importante in un momento come questo in cui il cambiamento climatico impone un’attenzione crescente alla salvaguardia dal dissesto idrogeologico». Il frutto essiccato entrava ed entra a Capranica in piatti della tradizione come la classica zuppa di ceci e castagne.

Se ci spostiamo più a Nord sull’Appennino tosco-emiliano sono i “ciacci” a farla da padroni. «Si tratta – racconta Linda Orlandini, dell’associazione castanicoltori dell’Alta Valle del Reno in Emilia – di una sorta di crepes fatte di farina di castagne che si possono farcire di ingredienti salati o dolci». Linda ha quasi trent’anni e fa parte di quella generazione di giovani che ha deciso di tornare a ripopolare le terre alte. «Mio nonno – ricorda – aveva un castagneto. Mio padre se n’è disinteressato, io dopo l’università a Bologna, ho deciso di tornare quassù, di creare un’azienda e di vivere di agricoltura e castagne. Un prodotto tra l’altro al passo coi tempi: la farina di castagne non contiene glutine e può essere consumata anche da chi è intollerante». 

La geografia della castagna segue la dorsale appenninica e arriva fino in Calabria. A Serrastretta, in provincia di Catanzaro, Giuseppe Talarico, anche lui trentenne, fa parte della comunità di castanicoltori dell’area di Reventino, dove si sta rilanciando la tradizione delle “pastille” ossia delle castagne essiccate, in apposite casette tra i boschi.

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«Rilanciare e curare i castagneti – spiega – ha oggi un’importanza fondamentale per la protezione dell’ambiente. Tra l’altro significa anche proteggere la biodiversità del sottobosco. Nella mia azienda produciamo anche l’anice nero, che è una pianta tipica di questo sottobosco». A raccontare a Terra Madre il mondo delle castagne, è stato anche un documentario, “Innesti”, realizzato da Sandro Bozzolo. L’autore ha ripercorso la battaglia del padre impegnato a recuperare un castagneto abbandonato tra le montagne del cuneese.

Il classico Montebianco rivisitato dallo chef Enrico Crippa
Il classico Montebianco rivisitato dallo chef Enrico Crippa 

Le castagne sembrano vivere una nuova vita anche sulle nostre tavole. Se un tempo si cucinavano secondo la triade mondine (bollite senza la buccia esterna), ballotte (bollite con la buccia) e caldarroste (arrostite per lo street food diffuso in Italia), oggi fior di chef utilizzano le castagne o la loro farina in ricette gourmet. Si va dal tristellato Enrico Crippa che al Piazza Duomo di Alba rivisita a suo modo il classico Montebianco a Pierluigi Vacca che all’Antico Borgo di Morano Calabro propone uno stoccafisso su crema di castagne, passando per la zuppa di lenticchie e castagne con gamberi di fiume di Paolo Trippini dell’omonimo ristorante di Civitella del Lago, senza dimenticare il dessert Cioccolato, rabarbaro e castagne di Marco Molaro ai Due Buoi di Olivola in provincia di Alessandria. Insomma anche a tavola è sempre più facile essere presi in castagna.