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Osteria del Mirasole: sapori veri e memoria, così la tavola è magia

Osteria del Mirasole: sapori veri e memoria, così la tavola è magia
Dall'incontro tra un cuoco e una casara è nato il locale di San Giovanni in Persiceto, tappa obbligata, alle porte di Bologna, per un tour nelle migliori trattorie italiane
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Nella vecchia foto appesa all’entrata dell’Osteria, segnata dal tempo e venata d’azzurro, una giovane donna guarda l’obiettivo. Salopette di jeans, basco, sorriso enigmatico e un’aria deliziosamente hippie. Alle sue spalle, poggiato sullo stipite di una porta, un uomo, folta barba nera e divisa da cuoco, sembra immerso nei suoi pensieri. Accanto, un’altra immagine: 25 anni dopo, stesso punto, stessa inquadratura, Anna e Franco sempre nella stessa posizione. Ma, sulla sinistra, seduto, sorridente e con un bicchiere in mano c’è anche il figlio Riccardo, già ora magnifico oste, e gran cerimoniere della cantina.

Due fotografie che sono un riassunto della storia di questo luogo, ma anche forse un simbolo del concetto stesso di trattoria: memoria, continuità, famiglia, passare del tempo, futuro. Un segno di come le cose, inevitabilmente, cambiano ma restano fedeli a se stesse.

A San Giovanni in Persiceto, alle porte di Bologna, l’Antica Osteria del Mirasole è un’istituzione che attira turisti del gusto da ogni dove. Per molti è la migliore trattoria d’Italia. Forse lo è, forse no, non importa. Le classifiche lasciano spesso il tempo che trovano. Di sicuro però per tutti coloro che l’hanno visitata fa parte del ristrettissimo gruppo dei locali che non si dimenticano facilmente.

Varchiamo la soglia, e ce ne rendiamo subito conto: salette che si susseguono, una grande brace che crepita e riscalda, travi di legno sul soffitto, profumo di buono e risate. Se esistesse un’idea platonica di trattoria ecco, sarebbe perfettamente rappresentata tra queste mura. Un archetipo. Ma non uno stereotipo, perché qui tutto è reale, sincero, sentito.

Quasi una trasposizione architettonica del cuoco e patron, Franco Cimini. Burbero e un po’ rude (forse eredità delle sue origini abruzzesi), facile a prendere fuoco, allergico a ipocrisie e mode. Ma al tempo stesso accogliente e generoso, come l’Emilia che lo ha adottato. A 20 anni era un giovane cuoco di belle speranze, ma già con alle spalle tanta esperienza nelle cucine dei grandi hotel, dal Gritti Palace al Danieli. Per sei anni quello era stato il suo mondo.

Poi il servizio militare, il ritorno a casa e un incontro, uno di quelli che cambiano la vita. Anna Caretti era la giovane rampolla dell’azienda agricola di famiglia, che dal 1928, e da quattro generazioni, è “responsabile” del profumo di latte che pervade le strade di San Giovanni. Il loro caseificio, in crescita anno dopo anno, produce un eccellente Parmigiano, e i vari prodotti della filiera, carne compresa. Il cuoco e la casara iniziano il loro percorso insieme, prima professionale e poi sentimentale. E nel 1989 aprono il locale, rilevando il nome di una vecchia osteria sulla stessa strada, una di quelle di una volta che servivano solo vino, e ogni tanto la trippa.

Il successo arriva subito. Cosa non scontata, essere profeti in patria. Merito, probabilmente, di due fattori. Il primo: aver preso, della vecchia osteria, non solo il nome, ma anche lo spirito, schietto e rilassato. Il secondo: l’origine, per così dire, agricola, dovuta al sodalizio con Anna e i prodotti della sua azienda: “E’ così che ho capito il tipo di cucina volevo fare, il tipo di trattoria che volevamo: legata al territorio, senza compromessi, e con una filiera chiusa: dai formaggi alle carni tutto viene prodotto da noi o da persone di fiducia”. Sostenibilità ante litteram, verrebbe da dire, prima che questa parola divenisse di moda (e perdesse, nel suo abuso, un po’ di significato).

L’ininterrotto pellegrinaggio goloso che porta da queste parti ha due piatti, nel ricco menù, dai quali è difficile prescindere: i tortellini alla panna di affioramento, quasi un marchio di fabbrica, e le tagliatelle all’antico ragù di cortile. E poi, non potrebbe essere diversamente, le carni alla brace, dal collo reale di vacca vecchia ai fegatelli nella rete, passando per un opulento midollo alla brace, che tra fumo e grasso trasuda piacere.

 

I prezzi? Inutile negarlo, sono più alti di quelli che siamo soliti associare a una trattoria: “E’ vero, siamo costosi, ma non cari. Essere costosi è un dato oggettivo, essere cari significa invece costare troppo rispetto a quanto si offre. E noi, con il tipo di materie prime che usiamo, anche con tutta la buona volontà sotto certi prezzi non potremmo scendere”.

Il piatto simbolo

Per i puristi del tortellino è un’eresia (“solo in brodo, solo in brodo”), per tutti gli altri una goduria. I tortellini alla panna di affioramento qui al Mirasole non sono solo il piatto più richiesto ma anche quello più rappresentativo (con tanto di copyright…). Ricetta golosa come poche altre, le cui origini risalgono al passato. La panna affiorata dal latte munto la sera e messo a riposo fino al mattino prima di essere impiegato per la produzione del Parmigiano Reggiano, faceva parte della retribuzione dei dipendenti dei caseifici. E fin da fine ‘800 veniva usata per condire i tortellini della domenica o dei giorni di festa. Con buona pace degli ortodossi.