“Non è un buon segno raga” esordisce Rachele alla vista della Mystery Box in versione black.
“Nero porta nero” rincara la dose il fotografo Francesco, cui fa eco un “Nera come il nostro destino” da parte di Sara. E in effetti il giudice Antonino Cannavacciuolo non stempera le preoccupazioni: “Il nero non promette niente di buono”. In effetti il collega chef Bruno Barbieri, di fiori di campo vestito, spiega in cosa consiste la particolarità negativa della prova: “Abbiamo ribaltato le regole e non assaggeremo i tre piatti che ci sembrano migliori ma i peggiori. E tra i peggiori sceglieremo i piatti che porteranno tre di voi ad affrontare il pressure test”.
Così si svela l’incognita: sotto la scatola nera appare una scacchiera le cui pedine sono coppette di sali e di pepi. C’è un che di metaforico nella scelta dei prodotti, che simboleggiano quanto i sapori siano sempre in viaggio e la cucina sia sempre il risultato di un incontro.
“Sale e pepe sono due elementi cosmopoliti della cucina che superano ogni confine e sono infatti usati dappertutto” spiega Locatelli, che sottolinea l’importanza basilare del sale che “esalta i sapori e può aggiungere sfumature di aroma”. Mentre il pepe, si sa, aggiunge quel tocco in più, piccante e insieme aromatico. A disposizione dei concorrenti 5 pepi, inclusi i cosiddetti finti pepi (ossia le bacche simili per aspetto e uso in cucina, che però dal punto di vista botanico non appartengono alla famiglia del pepe): il Pimento della Giamaica, un finto pepe che ricorda i chiodi di garofano; il Pepe lungo di Java, dolce e vagamente acidulo; il pepe di Sichuan, finto pepe originario della Cina del Nord, dal sapore molto intenso, con lieve sentore di fiori, con una sottile nota citrica e gradevole sensazione mentolata; il Pepe nero Tellicherry originario del Kerala in India dal gusto forte; e il pepe cubeben tipico di Indonesia, Africa centrale e Marocco, preferibilmente da unire ad altre spezie perché da solo rischia un effetto amarognolo.
E cinque tipi di sale: quello affumicato marino della Danimarca, quello di Cipro, quello delle Alpi austriache dal sentore metallico, il Kala Namak estratto dalle miniere pachistane e il sale rosa delle Ande.
Una prova molto importante per capire che la qualità è fatta di sfumature e per gli appassionati un sale o un pepe non vale l’altro. I concorrenti dovranno esaltare le qualità di sale e pepe scelti per il loro piatto in 45 minuti. Va da sé che – come dice Cannavacciuolo – in questa prova si può perdonare un eccesso di sapidità ma assolutamente imperdonabile un piatto sciapo.
Bubu come primo pensiero ha l’impepata di cozze, però vuole stupire e lo interpreta in versione risotto, consapevole del fatto che è un grosso rischio.
Sceglie di andare sul (quasi) sicuro Edoardo con un piatto che definisce “vecchio, insolente ma salvavita”, il filetto al pepe verde.
Letizia, che ha una casa in Thailandia, prova a fare un piatto asiatico. Silvia si esibisce con gli spaghetti alla Nerano. Giuseppe tira fuori l’anima pugliese con le cozze. Rachele ha l’idea di un tofu marinato.
Solo un concorrente è riuscito a capire la filosofia della prova ed è il vincitore della Mystery: Nicola che col suo ananas grigliato al pepe lungo di Java e pesce al sale grigio di Cipro si aggiudica per premio una lezione con lo chef Davide Caranchini del ristorante Materia a Cernobbio, che da tempo si concentra sull’utilizzo del pepe.
Tra i peggiori della prova c’è proprio Bubu che ha osato un risotto, lo ha chiamato "Ricordo di un’impepata di cozze" (risotto al sale delle Ande e di Cipro con cozze soffritte al pepe della Giamaica e di Sichuan), ma nonostante la buona cottura non ha raggiunto un sapore interessante.
Prova fallita anche per Silvia con "Ricordo dei pepi con le zucchine": spaghetti cotti con acqua e sale della Danimarca – che avrebbe dovuto conferire alla pasta un sentore affumicato – , zucchine fritte ai tre pepi e cialde di pecorino. Male anche Giuseppe con il suo "Un mare piccante", cioè ombrina con impepata di cozze e salsa di piselli, fave e chips cacio e pepe su fonduta di parmigiano: nonostante la sua pugliesità non ha presentato un piatto sufficientemente saporito.
Il piatto di Letizia si chiama "La mia Pathong", a base di pollo e funghi saltati al pepe del Sichuan e sale delle Ande su riso croccante con pak choi, ma è considerato da Cannavacciuolo qualcosa che ricorda il cibo in ospedale, cioè “riso bollito male in un piatto con carne tagliata male, funghi cotti male e verdure secche”. Letizia contesta le critiche e sostiene che sia un piatto buono e saporito.
Viene salvato Bubu, che ha il merito di aver cotto bene il riso e aver dato risalto all’aroma del pepe. Graziata pure Silvia perché il piatto era comunque gustoso. Gli altri tre, Giuseppe, Rachele e Letizia, finiranno invece al Pressure Test.
E così come sale&pepe sono prodotti che uniscono tutte le cucine del mondo, la scelta va su un altro ingrediente globale: il pollo. E, al sentire l’ingrediente, tutti sembrano tirare un sospiro di sollievo. Ma sbagliano. Non c’è pollo fritto, arrosto o in insalata sotto la cloche bensì un tecnicissimo Blanquette di pollo con roux bianco e funghi champignon, iconica ricetta della cucina di tradizione francese.
Deve il suo nome proprio al suo colore perché il pollo non deve essere soffritto né rosolato o sottoposto a cotture che gli facciano prendere colore. Viene cotto lentamente nel brodo, poi irrorato dalla salsa bianca, uno speciale roux bianco con un’aggiunta leggera di maionese, e accompagnato da cipolline, anche queste non rosolate.
Tra la difficoltà della cottura della carne e la preparazione della salsa, Giuseppe fa la prova migliore, Letizia toppa il roux, ma è la coscia di pollo crudina che condanna Rachele all’eliminazione.
Archiviata la tristezza per aver perso una – sia pur da poco – amica, i concorrenti tornano ai fornelli per una prova ad altissima tensione, la prova più tecnica di MasterChef, lo Skill Test con i suoi tre livelli. Si gioca con la cucina italiana che ha conquistato il mondo, quella apparentemente facile che merita attenzione filologica, quella di tradizione ma in continua evoluzione.
“Commissario esterno” – nuova figura che caratterizza la nuova stagione del programma prodotto da Endemol Shine Italy – è lo chef Davide Scabin, un cuoco dalla carriera straordinaria, che ha sperimentato per una vita da vero pioniere del gusto, chef visionario con la propria idea di avanguardia, le cui ricette sono finite anche sulla stazione spaziale per l’astronauta Luca Palmitano.
Proprio allo chef Scabin è stato affidato un potere speciale, quello di scegliere chi “punire”, spedendolo allo step successivo senza nemmeno concludere il piatto. Intanto lui dà un messaggio: capire la propria natura, il proprio talento e scoprire che si può inventare qualcosa, riprodurre migliorando qualcosa, copiare e in questo caso bene o male.
MasterChef, Scabin svela i segreti del pesto alla genovese: "Il pecorino è un trappolone"
Ha un messaggio: un sos perché siamo a rischio di perdere la radice del gusto italiano. La cosa più moderna che conosco è la tradizione perché non sta mai ferma, si muove, si evolve. Scabin è di certo l’ambasciatore di questo concetto: la tradizione non è qualcosa che odora di vecchio o dei cassetti alla lavanda della nonna. Ma qualcosa di vivo.
Filo conduttore delle tre prove la cucina italiana, con l’obiettivo di restituire autenticità ad altrettanti tra i più famosi piatti della nostra cucina all’estero. Si tratta di piatti all’apparenza semplici, ma dove semplice non è mai sinonimo di facile e meno che mai banale. Anzi, proprio a questi sapori dobbiamo l’omaggio della massima attenzione. Come il pesto alla genovese, protagonista del primo step dello skill test, con cui condire gli gnocchi di patate. Il pesto va preparato in 7 mosse nella sequenza stabilita dal campionato italiano di pesto che si svolge a Genova.
In molti cadono, per la scelta del formaggio sbagliato (no al pecorino romani) o delle patate sbagliate (meglio le vecchie). Le migliori prove sono quelle di Francesco, Edoardo, Hue, Ollivier e Lavinia che vanno subito in zona salvezza in balconata.
Al secondo step ecco un piatto che reputiamo americano, cioè spaghetti con meat balls le cui origini vengono giustamente riportate in Italia: gli spaghetti alla chitarra con le pallotte, grande classico della cucina abruzzese, in cui si sono ben cimentati Roberto, Nicola, Bubu, Francesca e Giuseppe che salgono al piano superiore.
Infine ecco il terzo e decisivo livello, al centro della postazione c’era la “Milanesa a la napolitana”, una sorta di cotoletta alla milanese ma con due varianti: un piatto che, come raccontato dallo Chef Scabin, è stato importato dagli immigrati italiani in Argentina.
Complimenti per qualcuno, critiche per altri: alla fine davanti ai giudici sono rimasti Francesco G. e Letizia, e a sorpresa entrambi hanno dovuto lasciare per sempre la cucina di MasterChef Italia per una doppia eliminazione che lascia tutti di sasso (e con la lacrimuccia).