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Quando il cibo fa paura: dagli insetti ai formaggi, ecco tutte le fobie alimentari

Quando il cibo fa paura: dagli insetti ai formaggi, ecco tutte le fobie alimentari
C'è la citofobia, che è la paura di un determinato cibo, ma non è l'unica. I disturbi legati agli alimenti, o alle bevande, sono tantissime. Proviamo a raccontarvele 
3 minuti di lettura

L'argomento insetti commestibili è sempre di più sulla bocca di tutti. Ma in tanti vorrebbero si fermasse lì. Che nulla del genere mai vi entrasse. Finché si tratta di discuterne in teoria, sì si può fare. Ma nella pratica, no. Il rifiuto è pressoché totale per la stragrande maggioranza degli italiani che sembrano dimostrare una vera e propria fobia verso l'oggetto in questione. Basta scorrere i commenti social all'indagine del Gusto condotta la scorsa settimana sui "prodotti insettivori" che si trovano al supermercato, nel caso specifico quelli colorati con la cocciniglia, per capire quanto i contrari al novel food siano agguerriti e convinti del loro no senza appello. 

 

Il dibattito continua. E non accenna a fermarsi. Si moltiplicano i messaggi di quanti fanno opposizione. Uno per tutti, quello di una lettrice Anna A. che dichiara senza mezzi termini e in maiuscolo: "Nella mia cultura non esistono insetti come cibo. Li mangerei solo sotto tortura. Mi fa schifo metterli in bocca...". Un no netto che, con le debite proporzioni e differenze, potrebbe sfociare in una vera fobia come quelle che riguardano la sfera alimentare. Prima fra tutte la citofobia o sitofobia o cibofobia che dir si voglia. Ovvero la paura di un determinato cibo. Nel caso in questione il rifiuto di mangiare insetti può avere come origine un blocco psicologico, un ribrezzo specifico, una contrarietà di tipo etico o culturale. Nella citofobia classica il fermo totale a un alimento che si può trasformare in un disturbo che se trascurato può dover richiedere un percorso di cura che prevede anche un supporto di tipo psichico.

Perché il rifiuto è legato a un vero e proprio terrore di quel "mostro" che si vorrebbe tenere lontano. I casi, spesso non diagnosticati o confusi con l'anoressia non sono molto frequenti e in genere interessano i bambini, età media 12 anni che escludono totalmente un prodotto che gli ha causato per esempio un'allergia o è associato a un ricordo negativo. Per esempio un inizio di soffocamento, un'indigestione, un forte malessere per aver ingerito cibo avariato. Un evento in qualche modo traumatico, insomma, che ha oltrepassato il momento in cui è avvenuto e si è come cristallizzato. Coinvolgendo cibi con le stesse caratteristiche, per esempio sono solidi o non si piegano. È come se si fosse mangiato qualcosa, in genere per la prima volta, che ha lasciato il segno. Ma negativamente. E quel segno non potrà mai essere modificato con un'esperienza stavolta positiva. Oppure il rifiuto potrebbe rientrare anche in alcune forme di psicosi e di depressione in cui si presenta una forte ripugnanza per qualche alimento per timore che possa essere avvelenato o contaminato o che possa far aumentare il peso in maniera incontrollata.

 

Simile alla citofobia, ma inserito nel Dsm il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, è il disturbo evitante-restrittivo dell’assunzione di cibo (avoidant/restrictive food intake disorder) che si sintetizza con la sigla Arfid per cui chi ne soffre mangia davvero pochissimo o evitano alcuni alimenti ma non temono di ingrassare a differenza delle persone anoressiche. Altre barriere vengono erette in caso di neofobia alimentare, cioè la paura dei cibi "nuovi”, proprio come quelli con farina di grillo, per fare un esempio, che è appena stata autorizzata dall'Unione europea come alimento. È una grossa riluttanza ad ingerire ciò che non si conosce, le novità come reazione innata a pericoli di rischi di tossicità alimentare. Poi ci sono le fobie tematiche di food&beverage, che come le altre rientrano fra i disturbi d'ansia. È l'ansia insieme al senso d'angoscia che provoca evitamento a distinguerle dal disgusto e dall'avversione che possono essere accompagnate da sintomi fisici come la nausea, ma non da reazioni emotive o comportamentali.

 

C'è quella per frutta e verdura che si chiama lachanofobia (lachan, in greco, significa vegetale). O la turofobia che si traduce in un vero e proprio terrore dei formaggi, non solo di mangiarli ma anche di toccarli o anche solo di guardarli. Poi ci sono la bananofobia per cui si rifiutano le banane, la Lycopersicoa fobia dei pomodori, la Xocolatofobia contro il cioccolato, la Mycofobia e l' Alliumfobia, paura rispettivamente dei funghi e dell'aglio. E ancora: l' Arachibuytrofobia con cui si teme il burro d'arachidi e soprattutto di non essere in grado di deglutirlo ed esserne così soffocati. Anche chi beve ha i suoi timori. C'è l'oenofobia con cui si sta lontano dal vino, da ciò che sta in botte e dal succo d’uva fermentato. E la metifobia, terrore dell’alcool, di ubriacarsi e di incontrare persone che bevono alcolici. Al contrario la novinofobia è la paura di finire il nettare di Bacco mentre la cenosillicafobia riguarda il terrore di ritrovarsi con il bicchiere completamente vuoto.

 

Fra i disturbi del comportamento alimentare meno conosciuti, accanto all'anoressia e alla bulimia di cui si parla di più, c'è l'iperfagia che comporta un aumento dell'appetito per l'ingestione di una quantità di cibo maggiore rispetto alla norma, occasionalmente o in modo compulsivo. Poi l'ortoressia l'ossessione per il cibo sano, e infine il picacismo, grave disturbo alimentare legato a deficit mentali che porta a mangiare cose non commestibili.