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Tra borgo e cantina, viaggio a Castello del Terriccio, dove ogni pietra ha una storia da raccontare

Tra borgo e cantina, viaggio a Castello del Terriccio, dove ogni pietra ha una storia da raccontare
Reportage da una delle aziende simbolo del vino italiano nel mondo guidati da Vittorio Piozzo di Rosignano: "Il Sangiovese? Qui non viene bene"
2 minuti di lettura

Mi sento molto Mr.Livingstone, I Suppose, mentre Vittorio mi sballotta sulle robuste sospensioni del 4x4 che ci porta in giro per le vaste ampiezze del Terriccio. Guida, calmo e deciso, e parla, calmo e deciso. Pacatamente ma con precisione di dettaglio, nonostante gli penumatici artigliati del mezzo abbiano la tendenza ad andare un po’ dove vogliono lungo le carraie fangosissime tra i vigneti, le praterie, i coltivi.

 

"Vedi, qui c’è dell’argilla mista ad altro. Laggiù - indica l’orizzonte con lo sguardo - non ti posso portare perchè poi ci vorrebbe l’elicottero per riportarci indietro. Sono pendenze improvvise, fosse, tratti di bosco e tratti di foresta. Poi slarghi vastissimi, colline dolci, dirupi inquietanti, automobilisticamente parlando". Vittorio Piozzo di Rosignano si porta dietro i predicati intrecciati dalla lunga ed articolata storia di questa famiglia, i Rossi di Medelana e di Rosignano. Ci sono secoli spalmati tutt’attorno e i reperti sono clamorosi: la cappella, il borgo con la villa, le varie borgate, la scuola. Vivevano cinquecento persone qui: la coltivazione della terra richiedeva una forza lavoro importante e gli addetti vivevano qui con le famiglie. Era necessario occuparsi anche dell’istruzione elementare.

 

Foto Stefano Caffarri
Foto Stefano Caffarri 

Mi parla del deus-ex-machina del Terriccio, colui il quale profuse la sua intera vita - o la gran parte di essa - al suo sviluppo. “Mio zio Gian Annibale Rossi di Medelana era un uomo di grande vitalità - racconta - e di ampi orizzonti”. Olimpionico di equitazione, fu proprio la sua passione travolgente per i cavalli che gli procurò l’incidente che ne condizionò la vita da quel momento in poi. Ancora giovane, pieno di forza nonostante la sedia a rotelle, dedicò da allora la sua travolgente energia alla tenuta. “Lo zio poi mi adottò - prosegue Vittorio - ed è così che mi sono ritrovato a guidare la tenuta, anche se la mia vita era in tutt’altra direzione e il Terriccio per me era solo il luogo dei giuochi di bimbo e di ragazzo, e delle vacanze via da Roma…”. In effetti arrivando la notte al Terriccio non ci si rende conto: attraversi le colonne d’ingresso e t’avvii su una lunga strada che pare d’essere in mezzo al Tassili, con quel tôle ondulée che scuote la schiena oltre che il telaio della vettura. ma la mattina dopo, e con un Cicerone di tale fatta, hai contezza di cosa significano 1400 campi da calcio uniti in una sola tenuta.

 

Possiamo scegliere il suolo, possiamo scegliere l’esposizione, possiamo scegliere l’altitudine: per questo riusciamo a produrre vini così precisi, così aderenti al progetto ed al territorio, dice Vittorio mentre mi indica i vigneti più vecchi, e i nuovi impianti. “Lì abbiamo messo del Mourvèdre” e mostra un fazzoletto di giovani viti “per vedere cosa succede”. M’urge una domanda, visto che qui siamo nel pieno dell’Alta Maremma: Ma il Sangiovese? La risposta è netta: "Non viene bene. Qui gli internazionali interpretano al meglio le differenti situazioni pedoclimatiche, e ci garantiscono vini di carattere". Scivolando ancora un po’ - la giornata è brumosa, piovigginosa, grigia - completiamo il lungo giro: non un periplo, ma già una convincente circumnavigazione del Terriccio, inclusa un corroborante sosta nelle pertinenze dell’agriturismo da sogno, la Terrazza.

 

Rientriamo al Terraforte, della cui cucina godemmo già in serata, e ci avviciniamo al sinuoso tavolo di degustazione dove sono pronti le bottiglie e i calici. Cose nuove - relativamente - cose vecchie, e cose vecchissime. Lupicaia, soprattutto. Millesimi importanti, che cantano ad una sola voce la stessa canzone: quella di un vino dalla longevità letteralmente abbagliante. Lungo i quasi vent’anni della verticale non si intravvede un segno di cedimento, mai il racconto esige il ricorso ai giustificativi dell’evoluzione. I vini sono adulti, compiuti, torniti dal tempo ma tridimensionali avvolti da una specie di aura di integrità che non conosce increspature. L’indagine consente di ripercorrere anche il misurato cambiamento nella cifra stilistica del terriccio, sempre coerente e lineare pur nelle sfumature.